Dal nemico pubblico alla governamentalità
di Giuseppe Cascione
tratto da: Iconocrazia 8/2015 – “Ritorno al conflitto” (vol. 1), Saggi
Per Carl Schmitt la contrapposizione tra Amico e nemico è il fondamento del concetto di politico. La politica, in altri termini, si palesa soprattutto quando una decisione sovrana fonda una contrapposizione radicale tra un NOI e un LORO in una chiave decisamente bellica.
Proprio per questo il nemico schmittiano è necessariamente un “nemico pubblico” (hostis), che egli contrappone al “nemico privato”, il semplice competitor (inimicus), che di per sé, quest’ultimo, non è in grado di produrre la contrapposizione politica, di scatenare lo stato di eccezione.
Tuttavia, nell’ultima parte della propria vita produttiva, Carl Schmitt ritorna su questa contrapposizione e la ripensa profondamente. Nella “Teoria del partigiano”, in particolare, egli adombra che vi possa essere un nemico privato capace di generare uno stato di eccezione. Può non essere necessaria, cioè, una guerra contro un nemico esterno per ridefinire lo spazio della sovranità politica, ma esso può ribadirsi a partire da un movimento tutto interno ad un’unica sovranità.
Il motivo è evidente: con la guerra fredda, va congelandosi anche la possibilità di un conflitto aperto, classico, tradizionale e si impone, di contro, la necessità di produrre conflitti “latenti”, che non comportino, cioè, l’annientamento vicendevole degli avversari. In questo teatro di conflitti locali e, per così dire, “interstiziali”, è facile che la sovranità debba muoversi dentro un orizzonte che la costringe a condurre una guerra contro un nemico sfuggente, fungibile, che si muove all’interno di un quadro normativo regolare e non eccezionale e che talvolta si rifugia proprio dietro questa cortina di diritto per sovvertire l’ordine delle cose. Per questo, dal punto di vista di Schmitt, nelle società neutralizzate il nemico privato può trasformarsi in nemico pubblico.