Sicilia a pedali

Dalle maioliche di Caltagirone alla necropoli di Pantalica, passando per il barocco ragusano e sciclitano, l’oasi naturalistica di Marzamemi e lo splendore di Noto al tramonto. Circa 300 km in bicicletta per un viaggio ideale da fare fuori stagione

di Giulia Bondi

Si parte citando nomi di venti, Mastrale, Libeccio, Scirocco… Tra il freddo padano e il mite inverno del sud ci sono di mezzo oltre mille chilometri e la spina dorsale degli Appennini. Un furgoncino, sei persone e altrettante biciclette. Davanti, una Sicilia verde come l’Irlanda, con colori sconosciuti a chi va solo d’estate.

La prima sosta, ancora senza pedalare, è in una Catania nera e straboccante d’acqua, fino alla fresca sorpresa del fiume Amenano, che sbuca nella grotta proprio sotto l’ostello di piazza Currò. Il tour, circa 350 km, partirà da Caltagirone. Ci si arriva la sera, giusto in tempo per fare qualche gradino della scala maiolicata, e poi deliziarsi con gli esperimenti di un ottimo ristorantino del centro.

La colazione con brioche ripiene di ricotta è l’ideale per affrontare la prima tappa sui pedali, Caltagirone-Ragusa. Dopo le prime centinaia di metri, compaiono due compagni di viaggio, che resteranno fissi per gran parte dell’itinerario. Ai lati della strada, il verde brillante dei pascoli. All’orizzonte, in lontananza, la sagoma nera dell’Etna con la sua cima imbiancata.

Si attraversano eucalipti, poi una salita di tornanti all’ombra. Il pranzo sarà in un prato, tra mucche al pascolo e muretti a secco, dopo una foto di rito davanti al cartello di Pedalino. Si sale ancora, sotto nuvole dall’aspetto Atlantico e volteggi di rapaci in una danza d’amore. Casali abbandonati, bacche rosse, contrade di gusto arabo come Gibilmanna, fino allo splendore barocco di Ragusa Ibla.

L’indomani, per Ragusa-Pozzallo, ci si lascia a sinistra lo spettacolo della collina di Ibla, per risalire su una strada quasi deserta. A Modica, con le anse del fiume trasformate in curve del corso centrale, si arriva dall’alto. Immancabile assaggio del cioccolato locale, prima di scendere lungo la strada della fiumara fino a Scicli.

“Qui – spiega Gianfranco, sciclitano doc – c’è uno dei pochissimi riti della Settimana santa che valorizza la Resurrezione anziché la Passione”.

Il culmine delle celebrazioni, a Scicli, non è il Venerdì, ma la notte di Pasqua, con una processione festosa del Cristo Risorto, “l’Uomo Vivo”, che ha ispirato a Vinicio Capossela un travolgente “Inno al Gioia”.

Da Scicli si scende al mare per incontrare la ciclabile costiera, che porta a Pozzallo, fine della seconda tappa, e prosegue per Siracusa. Nel paese natale di Giorgio La Pira si arriva dal porto, pedalando accanto al cimitero delle barche dei migranti sequestrate dalla Capitaneria.

La mattina dopo si riparte lungo il mare: destinazione Noto, prima sosta nel silenzio invernale di Isola delle correnti, confluenza di due mari, più a sud di Tunisi. Cespugli di more offrono ristori imprevisti e a Marzamemi si divide il pranzo con altri due viaggiatori in bicicletta, studenti a Catania che per risparmiare dormono all’addiaccio, confortati dai vent’anni.

Non è stagione di migrazioni, ma anche oggi Alberto nota qualche volatile nei laghetti paludosi vicino al mare: aironi rosa e piro piro piccolo.

La quarta tappa ha destinazione Siracusa, primo stop a Marina di Avola per mangiare le mandorle più buone del mondo, chiacchierando coi paesani che giocano a carte, tra quel che resta della vecchia tonnara. “L’ha comprata la società di Schumacher”, spiega uno dei giocatori, “ma non ci hanno mai fatto niente”.

Il mare, nero, è segnato all’orizzonte da una riga ancora più nera. L’area archeologica di Siracusa chiude alle 15, si accelera il passo per non perdere il candore del teatro e il mistero dell’Orecchio di Dioniso.

La tappa Siracusa – Pantalica è lungo una bellissima ciclabile ricavata da un’ex ferrovia. Fino all’ultimo non c’è la certezza di trovarla aperta. All’ingresso, il custode si sincera che sulle biciclette ci siano le luci: le gallerie non sono illuminate.

Pantalica è una necropoli antichissima, poi città greca, poi bizantina, spiega con passione Paolo, guida e ristoratore, che serve vino Frappato “perché il Nero d’Avola lo conoscono tutti”. Il giorno si tornerebbe a Caltagirone per recuperare il furgone, ma Paolo spiega che la ciclabile continua, sempre sul percorso dell’ex trenino.

“Lo hanno dismesso dopo pochi anni – spiega – per la pendenza: andava così piano che i ragazzini facevano in tempo a scendere, rubare le arance e risalire!”. Offre un passaggio per il ritorno, non si può dire di no.

Un tratto di ciclabile selvaggio ma percorribile apre l’ultima giornata, poi la salita su strada, tra colline ricoperte di pale eoliche. Per le strade di Vizzini, una signora bionda si accosta al gruppo per raccontare della resa dei conti, in mezzo ai fichi d’India, tra Turiddu e Alfio.

La scena che conclude la Cavalleria Rusticana. Vizzini è il paese natale di Giovanni Verga, la signora bionda l’assessore alla cultura. L’ultimo metro è in una piazza triangolare. Sotto le gomme appare una rosa dei venti. Maestro, Libeccio, Scirocco, dicono le ceramiche decorate.

Note tecniche: 345 km in cinque tappe (percorse dal 28 dicembre al 3 gennaio), seguendo l’itinerario Caltagirone-Ragusa-Pozzallo-Noto-Siracusa-Pantalica-Vizzini. Dislivello medio. Ideale tra maggio e ottobre, quando le giornate sono più fresche sebbene più corte. Locali consigliati: Ostello Agorà, Catania, per visitare la grotta dell’Amenano; Ristorante Il locandiere, Caltagirone, per le ottime sperimentazioni con ingredienti tradizionali; Enoteca Solaria, Siracusa; Agriturismo Porta Pantalica, Cassaro (Siracusa) per la grande passione dei gestori per il proprio territorio.