di Linda Dorigo
Par-Wa, la piccola figlia di Wiria, dorme in salotto sotto il getto dell’aria condizionata. Anche Wiria sonnecchia. Con la famiglia vive a Wasan, villaggio delle montagne di Qandil. Quassù si arriva con difficoltà perché Wasan è ai piedi di una valle intorno alla quale si ergono altissime montagne dove è stanziato il Pkk.
Tutti si conoscono e rispettano Wiria, il sindaco, che ha quasi 30 anni ed è un tipo sveglio. Nel 2008 insieme alla moglie Swan e ad altri tre amici ha costruito la prima libreria della zona: “Ci siamo chiesti perché non avremmo dovuto portare i libri anche qui – ricorda Wiria – e così abbiamo comprato oltre 400 titoli e sette computer. Questa è più di una libreria. È un vero istituto”. A Wasan si vive di agricoltura ma “sparse tra queste 50 case ci sono ben 40 titoli universitari e sei dottorati di ricerca”.
Si fatica ad immaginare la guerra combattuta tra queste montagne e la storia rivoluzionaria che queste custodiscono.
“Bisogna che ti spieghi perché tutte le rivoluzioni sono nate tra queste montagne – precisa Nabi Mohammed, classe 1966, primo insegnante del villaggio –. Ci troviamo al confine tra Iran e Iraq e questo garantisce il commercio e il contrabbando ovviamente. Non solo, il villaggio è protetto dalla valle e la gente è sempre stata istruita”. Negli anni ’70 qui abitavano più di un centinaio di famiglie. C’era addirittura una band, la chiamavano Revolution Team in onore alla rivoluzione. Ma dal 1977 al ‘91 i peshmerga rimasero senza aiuti perché la tanto osannata rivoluzione aveva deportato gli abitanti lontani da Qandil. A partire dal 2000 queste montagne accolgono la direzione militare e i combattenti del Pkk in esilio dalla Turchia. “Chiunque si ribelli alle dittature qui è benvenuto – dice Nabi – i guerriglieri sono i nostri peshmerga, e chi li descrive come terroristi farebbe bene a passare qualche giorno insieme a loro”.