In questo tempo estivo vi racconteremo brevi note di viaggio, incontro, vita vissuta in una città che ognuno di noi ha scelto per i più diversi motivi. Oltre le guide turistiche, dentro strade e su muri, nelle piazze e in piccoli ricordi.
di Antonio Marafioti
È un istante di pietra e storia che rosseggia nei vespri incessanti delle stagioni. La mia Cordoba è quell’insieme di linee che nell’aria compone il suo profilo aureo. Lo si può scorgere dal Puente Romano. Il passaggio di Cesare eretto sulle acque del Guadalquivir, il fiume grande che bacia, tagliandola, l’intera Andalusia. Cordoba romana, Cordoba sultana, per chi, invece, preferisce ricordare i tempi dell’antico califfato che qui, come in tutto il resto della Spagna, lasciò supreme bellezze architettoniche e ingegneristiche. Al-Andalus, da Lisbona a Valencia, da Granada a Saragozza, da Madrid fino ai confini con la Gallia. A Cordoba i due secoli e mezzo di dominio moresco hanno un nome e una fisionomia ben precisa: Mezquita, la Grande Moschea. Ci sono passato davanti ogni mattina per nove mesi tra l’inverno e l’estate del 2005. Ho sentito e ignorato non so quante volte gli inviti delle vecchie zingare pronte a barattare rametti di rosmarino (el romero) e improbabili letture della mano in cambio di qualche euro. Ho visto i raggi del sole del Sud baciare e rendere accecanti i quattro lati del muro di cinta. Ho sentito fin dentro i polmoni il caldo soffocante di luglio evaporare alla sera dal manto lastricato della juderia. E il fresco creato ad arte nei giardini interni irrorati d’acqua grazie a un reticolato di canalette rimasto perfetto nei secoli. Ho superato la porta d’ingresso principale più e più volte, eppure la Mezquita continuo a sentirla come un luogo indescrivibile. Non basterebbero tutte le foto e le parole del mondo a renderne lontanamente comprensibile la magnificenza. Il bianco e il rosso alternati sapientemente sugli archi tra le 856 colonne disposte lungo 19 navate interne rispondono alle domande degli occhi, a quelle del gusto e del senso del bello. Per tutte le altre bisogna varcare quella soglia e sentire addosso il respiro ancora vivo di ere lontane come fosse un’aleatoria anticipazione della storia futura. La Mezquita fu distrutta e in parte ridisegnata, dopo la Reconquista. All’indomani del ritorno dei re cristiani che affiancarono agli intagli musulmani, le effigi e gli altari in stile gotico propri della principale religione occidentale.
Dentro la Mezquita di Cordoba è insito il contrasto dei tempi che furono, che sono, forse che saranno. È una dialettica reiterata e resa comprensibile dai silenzi della sua trasposizione artistica. La mia Cordoba sta lì, immersa in aggettivi che non bastano mai al racconto.
Tra le suadenti muse gitane di Julio Romero e lo splendido Alcázar de los Reyes Cristianos, tra l’incantevole Plaza del Potro, la luna piena che illumina Plaza de la Corredera e il sole che ogni giorno scompare dietro quella de Toros. La mia Cordoba è una donna con lunghi capelli castani e gli occhi più belli del mondo che dorme nuda lungo il verde e il tan della Sierra Morena. La mia Cordoba è nel marmo antico della statua del cittadino Lucio Anneo Seneca, nel suo nome, nei versi dei suoi drammi e delle sue speculazioni filosofiche.
La mia Cordoba è nei sapori del trito di aglio e pomodori freschi, del jamon serrano servito sui piattini di ceramica del servizio da caffè, del fiti-fiti, si chiama così (da fifty-fifty) la combinazione di vino dolce, passito, con il bianco fino.
Le teterie prolungamenti della tradizione d’Oriente, Medio più che Estremo, servono tutto l’anno miscele di tè nel refrigerio di giardini nascosti. L’Argana, in calle de Céspedes, è una delle migliori. Uscire da lì e tuffarsi nei colori della Semana Santa, quando la città è un trionfo di patios fioriti, infonde fiducia in una convivenza possibile fra uomini che godono e offrono le migliori espressioni umane di due grandi civiltà. Tutto a un passo dalla Mezquita, tutto alla sua ombra. Secoli concentrati in uno sguardo fisso su una delle più belle e antiche perle del Mediterraneo.