Il progetto di una nuova infrastruttura militare in Sardegna riporta alla ribalta la mancata riconversione economica del territorio
di Maddalena Brunetti
I militari tornano a La Maddalena, in Sardegna. Il Santuario dei cetacei, nel cuore dell’ultra tutelato Parco marino delle Bocche di Bonifacio, sarà presto solcato da navi da guerra perché è qui che il ministero della Difesa ha intenzione di costruire un molo per l’approdo della nave Cavour, portaerei ammiraglia della flotta della Marina italiana.
Un paradiso terrestre sacrificato alla ragion di Stato: a seguito dei mai ratificati accordi del 1954-1972-1978, lo splendido arcipelago maddalenino ha ospitato una base militare Usa, punto di appoggio per i sommergibili nucleari a stelle e strisce nel Mediterraneo che ne ha sempre soffocato le aspirazioni turistiche e ambientali.
Nel 2008 gli americani però sono tornati a casa, lasciando in affanno l’economia locale oltre a una pesante eredità di strutture da bonificare. E il G8 del 2009 sembra lo strumento ideale per ottenere i finanziamenti necessari a ripulire il mare e farlo “fruttare” grazie a strutture da sogno da riconvertire al turismo.
Ma ad aprile L’Aquila viene devastata dal terremoto e il summit dei grandi della terra spostato in Abruzzo. In Sardegna restano solo promesse non mantenute ed edifici in disfacimento come l’ex Arsenale divenuto simbolo di uno scandalo fatto di mazzette e mala-gestione che appartiene ad un altro lungo e doloroso capitolo di questa storia. Uno schiaffo che brucia ancora. Nonostante il quale per l’isola non si smette di parlare di riconversione economica.
Un sogno bruscamente interrotto dal nuovo molo militare. I documenti per far partire la procedura di verifica di assoggettabilità a Via (Valutazione d’impatto ambientale) del progetto sono già stati inviati al Ministero dell’Ambiente, che però valuterà solo il cantiere, non le enormi imbarcazioni che gli si muoveranno attorno.
Il finanziamento è poco più di 5 milioni di euro per 16 mesi di lavori durante i quali verranno scavati fondali e forse anche sacrificati centinaia di metri quadrati di poseidonia.
Ma la base per la portaerei è considerata fondamentale. E nella relazione ambientale, viene spiegato il perché: “Deve essere considerata anche la valenza strategica dell’intervento che risulta necessario ed urgente per le esigenze logistiche della Marina Militare Italiana nell’assicurare il controllo delle nostre coste e la difesa dei cittadini italiani contro ogni possibile minaccia al nostro territorio”.
Inoltre, viene aggiunto, “l’opera determinerà impatti negativi di entità non significativa, localizzata, e reversibile unicamente legati alla fase cantieristica delle lavorazioni e alla possibile, ma non certa, perdita permanente di habitat a poseidonia per un totale di 780 metri quadrati”. Poi arriverà la portaerei Cavour. E tutto sarà diverso.
Il nuovo attracco sorgerà sull’isolotto di Santo Stefano, lo stesso che ospita il bunker segreto di Guardia del Moro. Qui sono state stipate tonnellate di armi sequestrate ai trafficanti che da qui sono partite verso diversi teatri di guerra. In alcuni casi kalashnikov, missili e munizioni hanno lasciato il deposito a bordo di traghetti di linea, carichi di passeggeri.
Trasporti ad alta tensione su cui, nel 2011, la procura di Tempio Pausania aveva aperto un’inchiesta subito affossata dal segreto di Stato. Santo Stefano è inoltre oggetto di contesa tra Stato e Regione: nel 2014 il governatore Francesco Pigliaru ha impugnato il decreto con il quale è stata reimposta la servitù su Guardia del Moro. Stando ai codici, entro 90 giorni sarebbe dovuto essere convocato a palazzo Chigi. Sta ancora aspettando.
Ora un altro sgarbo istituzionale: il nuovo il molo doveva obbligatoriamente essere valutato dal Comipa, il comitato paritetico che deve pronunciarsi sulle questioni militari. Un passaggio ignorato dalla Difesa che in Sardegna non è abituata a chiedere permesso.
L’isola da sola ospita oltre il 60 per cento del demanio militare italiano, tra cui il sistema di addestramento più vasto d’Europa composto dai tre poligoni del Salto di Quirra, di Capo Teulada e di Capo Frasca. Ma la Regione sapeva. Lo scorso 8 agosto il ministero dell’Ambiente aveva inviato agli uffici regionali la documentazione relativa al progetto.
Nonostante questo all’indomani della diffusione della notizia, dalla presidenza era arrivato un’informale reazione di “stupore e disappunto”. Tiro corretto il giorno dopo, quando il clamore mediatico sulla vicenda ha costretto a dichiarazioni ufficiali. “Si lavora per la riduzione delle servitù militari e qualsiasi incremento troverà la ferma opposizione del governo regionale”, ha fatto sapere il presidente Pigliaru.
Ma la Regione sapeva. Intanto a La Maddalena, sfiancati dalla mancanza di alternative, tornano a sperare nelle sbandierate “ricadute sul territorio”. Briciole, stando all’esperienza. Ma piuttosto che niente, è meglio piuttosto.