di Marco Todarello
È un giorno di marzo del 1895, in una via della periferia di Lione. Intorno a mezzogiorno un grande portone si apre: esce prima un gruppo di uomini, poi di donne, un cane, un uomo in bicicletta, alla fine una carrozza. Davanti a loro c’è una nuova invenzione: il cinematografo. La scena ripresa è considerata il primo film della storia del cinema.
Si intitola Sortie de l’usine Lumière e questo flusso di esseri umani che camminano, si incrociano, qualcuno ammicca all’obiettivo, è una sorta di inno alla vita, frutto del genio di Auguste e Louis Lumière.
Con quel cognome che evocava una profezia, i due fratelli però non sapevano che con quell’esperimento avrebbero cambiato per sempre la storia dell’umanità.
Quei primi 55 secondi di immagini in movimento oggi sono state restaurate e raccolte insieme ad altri 113 corti in Lumière! – l’invenzione del cinematografo, nato da un’idea di Thierry Fremaux, direttore dell’Institute Lumière di Lione, che ha selezionato le opere tra le 1422 esistenti.
Al restauro ha partecipato anche la Cineteca di Bologna, che ai fratelli Lumière dedica anche una mostra, allestita nel palazzo Re Enzo e aperta fino al 22 gennaio 2017. Il film è stato proiettato in anteprima al Mantova film fest e arriverà nelle sale dal 3 ottobre.
Storie che durano meno un minuto – questa era la durata massima possibile di una pellicola di 35 millimetri lunga 17 metri – e tuttavia capaci di raccontare il mondo con efficacia e passione.
In queste “vue” = vedute (non si chiamavano ancora film) i fratelli Lumière catturano la vita, la interpretano, la offrono agli spettatori che per la prima volta vedono la realtà rivivere su uno schermo.
È noto che quando L’Arrivée d’un train à La Ciotat fu proiettato per la prima volta a Parigi, nel gennaio 1896, alcuni spettatori lasciarono la sala in fuga temendo di essere investiti dal treno.
Meno noto è che in Le repas de bébé, dove il protagonista è un neonato imboccato dai genitori, la platea rimase impressionata dal movimento delle foglie alle loro spalle.
Agli albori il cinema è soprattutto movimento, e Louis Lumière, che tra i due era quello che preferiva stare dietro la macchina da presa, fu bravissimo a coglierne il valore e a sfruttare al meglio il rudimentale strumento che aveva a disposizione.
Le città, la folla, il gioco dei bambini, gli animali, il lavoro nelle fabbriche, le commedie farsesche, i film ci restituiscono anche uno sguardo storico su un mondo, il primo che fosse mai stato raccontato con le immagini in movimento e con una qualità tecnica davvero molto alta per l’epoca.
Place de la Concorde, con il primo piano dei passanti, il secondo dell’obelisco e della fontana, e lo sfondo degli edifici è un esempio di incredibile abilità nella composizione dell’inquadratura, mentre in un altro film riusciamo a percepire l’atmosfera di una domenica pomeriggio in un parco parigino con una profondità di campo perfetta, in cui tutto e nitido e nulla è lasciato al caso.
Forse senza saperlo, i Lumière inventarono anche il documentario, come vediamo nella sequenza di un Paese colpito dall’esondazione del Reno, dove la telecamera ci mostra un quadro di realtà pressoché totale: la strada allagata, i danni, i pompieri che intervengono per svuotarla, la gente intorno che osserva preoccupata.
Il maestro del cinema d’azione Raoul Walsh diceva che c’è un solo posto per piazzare la macchina da presa, ed è come se Louis Lumière lo conoscesse d’istinto.
Fu uno dei primi operatori video della storia, eppure già a conoscenza della maggior parte delle tecniche usate ancora oggi.
In altri corti, le panoramiche sono realizzate usando l’ascensore della Tour Eiffel o una barca sulla Senna come carrello, un’altra invenzione nata dunque insieme al cinema.
Occorre chiarire che i fratelli Lumière non inventarono la tecnica cinematografica, che sul finire del XIX secolo fu messa a punto da vari inventori tra cui Eadweard Muybridge, Émile Reynaud e Thomas Edison, ma è senz’altro loro l’invenzione dello strumento che permetteva di girare, sviluppare e proiettare i film. È grazie a loro se le immagini in movimento sono arrivate su uno schermo e diventate fruibili da chiunque.
Uno dei maggiori studiosi dei Lumière, il regista Bertrand Tavernier, ritiene che su questo punto il dissenso con Edison era evidente: mentre per lui il cinema rappresentava un ghiotto affare, da destinare solo a chi poteva permetterselo, i Lumière volevano invece attirare un pubblico più vasto possibile e aprirsi al mondo.
E per questo investirono tempo, energie e denari: assunsero degli operatori con un concorso, li istruirono con un lungo tirocinio e li mandarono in giro per il mondo. E non solo per portare in Francia immagini dall’estero, ma anche per fare conoscere ai popoli lontani – con proiezioni pubbliche – le bellezze dell’Europa.
Questi promettenti cineasti – tra i più bravi vanno ricordati Alexandre Promio e Gabriel Veyre – girarono immagini di vita quotidiana in India, Egitto, Stati Uniti, Messico, spingendosi fino alla Cina e al Giappone, che all’epoca era ancora un Paese estremamente chiuso: il duello tra due kendoke immortalato a Kyoto sarà poi ripreso da Akira Kurosawa che girerà la stessa scena nei Sette samurai.
C’è anche il Canal Grande di Venezia, il cui panorama ripreso da un battello è considerato il primo movimento di macchina della storia del cinema.
Di ineguagliabile bellezza la vista di Istanbul dal mare, in Panorama de la Corne d’Or, un vero piano sequenza di difficile esecuzione anche per un regista di oggi: la macchina fissa su un battello regala un solo movimento che tiene in campo la moschea, il mare, un grosso piroscafo, una piccola barca e infine i pedoni sull’imbarcadero.
Nella versione italiana del film c’è il bel commento di Valerio Mastandrea, che riesce a trasmettere la giusta empatia con le storie proiettate. Una scelta compiuta dalla produzione per evitare i sottotitoli al commento originale di Fremaux, al fine di non distrarre lo spettatore dalla sequenza di immagini.
«È come se in Louis Lumière, che fu il vero inventore del cinema, ci fosse già la consapevolezza inconscia delle tecniche di base, che non potevano essere ereditate da nessuno – spiega Andrea Peraro, responsabile distribuzione della Cineteca di Bologna – con uno strumento ancora in fase sperimentale capì, tra l’altro, l’importanza della posizione della macchina, la divisione dell’immagine in chiaroscuri, l’invenzione di un tipo primordiale di piano sequenza».
Figli di quell’epoca a cavallo di due secoli in cui il mondo fece il salto definitivo nella modernità, i Lumière misero il loro genio anche in strumenti meno conosciuti ma altrettanto rivoluzionari.
A soli 17 anni, nel 1881, misero a punto una nuova lastra fotografica, chiamata “Etiquette bleue”, con una sensibilità che permetteva di ottenere tempi di esposizione molto brevi. La produzione arriverà a 15 milioni di pezzi all’anno, tanto da fare la fortuna della famiglia Lumière, che a breve diventerà una potente industria nel campo della fotografia.
Nel 1903 inventarono l’autocromia, ovvero la fotografia a colori, che a causa degli alti costi si sarebbe diffusa solo un decennio più tardi. E infine brevettarono la proiezione stereofonica, che permise la produzione dei primi film sonori.
Sono passati 120 anni da quando quegli sguardi curiosi e furtivi, a tratti timorosi dei passanti guardavano il cinematografo all’opera, e oggi secondo Andrea Peraro l’arrivo in sala di Lumière! – l’invenzione del cinematografo è una sorta di «referendum sul futuro del cinema. Se il film andrà bene, se ci sarà la curiosità di vederlo, vorrà dire che il cinema è vivo e che la sala, nonostante il tempo che passa e la tecnologia che incombe, resta l’unico luogo adatto per compiere quel rituale senza tempo».