Rischio e Previsione di Francesco Sylos Labini illustra i problemi delle previsioni scientifiche e di come il sistema della ricerca perpetri certi paradigmi teorici anche quando sono inadeguati
Di Clara Capelli
“Ognuno è fanatico a modo suo. […] lui crede in una nuova, contemporanea superstizione – la superstizione della statistica” scriveva negli anni Sessanta l’autore sudanese Tayeb Salih nella sua opera più celebre, La stagione della migrazione a Nord a proposito del “lato oscuro” del progresso scientifico occidentale. E Salih aveva ragione: il numero e la formula matematica sono spesso trattati come idoli, la scienza viene a volte percepita come un surrogato di religione che ci dovrebbe confortare dalla nostra paura più antica e profonda, quella dell’incertezza per il futuro.
Ci sarà un altro terremoto? Ci sarà un’altra crisi economica? Perché la scienza – sia essa sismologia o economia – non riesce ad anticipare questi eventi che tanto ci spaventano? La risposta è disarmante nella sua semplicità: la realtà è troppo complessa anche per il metodo scientifico più raffinato e, soprattutto, ogni disciplina scientifica è il risultato della pratica umana, anche quando si presenta sotto forma di statistica o equazione. In quanto tale, è anche passibile di errori, imprecisioni e derive che conseguono da un modo di fare ricerca solo formalmente promotore del merito.
Il libro del fisico Francesco Sylos Labini, Rischio e previsione. Cosa può dirci la scienza sulla crisi (edizioni Laterza) affronta in maniera critica e dettagliata la questione della scienza e della ricerca scientifica nel mondo contemporaneo, facendo luce su tanti problemi di grande importanza ma sconosciuti ai non addetti ai lavori.
Cosa significa “fare une previsione scientifica”? Perché nessuno fu capace di prevedere la crisi economica del 2007-2008, come addirittura fece notare la Regina d’Inghilterra agli economisti della London School of Economics? Come funzionano la ricerca e i suoi finanziamenti? Come questi meccanismi influenzano la nostra vita quotidiana e il nostro modo di leggere la realtà?
Il libro non è piaciuto a molti ed è esattamente per questa ragione che anche i non scienziati dovrebbero leggerlo, nonostante il tema possa non sembrare particolarmente accattivante per chi non si occupa di ricerca. Si tratta tuttavia di un’impressione iniziale, perché Sylos Labini è molto bravo a tessere un’analisi ricca di aneddoti di storia della scienza e dell’economia e a illustrare le sue tesi in modo semplice e pragmatico.
Il primo capitolo, Previsioni, è una riflessione sul metodo scientifico e sulla complessità del mondo: ogni fenomeno è il risultato di un’interazione così intricata di un tale numero di fattori da rendere sostanzialmente impossibile una previsione esatta. È il cosiddetto “effetto farfalla” coniato dal meteorologo Edward Lorenz, secondo cui il battito d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un uragano in Texas. Lo stesso discorso vale per i terremoti: si può prevedere che una zona sarà colpita da un terremoto, ma non è possibile indicare con precisione dove e quando perché troppi sono gli elementi in azione.
Il secondo capitolo, Crisi, affronta la spinosa questione dello statuto della scienza economica. “Le previsioni economiche servono unicamente a rendere l’astrologia una disciplina rispettabile” diceva l’economista americano John Kenneth Galbraith. “Anziché occuparsi dei problemi economici reali, l’economia si è progressivamente trasformata in un’arcana branca della matematica”, commentava il rivale Milton Friedman.
La deriva matematizzante della disciplina – nel senso del prevalere del virtuosismo matematico sull’analisi economica – è forse uno dei pochi temi su cui i grandi economisti si sono trovati sostanzialmente d’accordo. Sylos Labini bene illustra l’egemonia culturale del mainstream economico nonostante la sua incapacità di leggere la realtà in cui viviamo – incapacità emersa chiaramente all’indomani della crisi –, evidenziandone anche le numerose debolezze dal punto di vista metodologico e matematico.
Ma se l’economia contemporanea, scienza sociale deformata a hard science dall’abuso di matematica, è inadeguata, com’è possibile che il paradigma dominante non sia ancora stato messo in discussione su larga scala, ma che al contrario continui a ispirare politiche draconiane di austerità e contenimento salariale?
La risposta risiede nel terzo capitolo, Ricerca, in cui Sylos Labini – già autore nel 2010 di I ricercatori non crescono sugli alberi con Stefano Zapperi – discute di come i finanziamenti alla ricerca e la carriera in questo settore finiscano per premiare chi si muove all’interno del paradigma teorico dominante, magari presso centri già consolidati e influenti.
La ricerca “eterodossa” che si allontana dai sentieri battuti del mainstream è marginalizzata. Eppure non essere “allineati” non significa essere mediocri: il libro è infatti ricco di esempi della storia della scienza di grandi e importanti scoperte sviluppate da scienziati quasi sconosciuti – con un “impact factor” modesto, pubblicazioni su riviste considerate “minori”, etc. – in università e centri di scarsa rilevanza, per mostrare come spesso la comunità scientifica applichi criteri che non favoriscono il progresso della scienza, ma solo la perpetuazione dei paradigmi teorici dominanti.
Il quarto capitolo, Politica, conclude con alcune pragmatiche riflessioni per passare all’azione. Sylos Labini, membro fondatore dell’associazione ROARS (Return On Academic ReSearch), fa riferimento al manifesto Hanno scelto l’ignoranza, promosso da diversi scienziati europei per richiedere che le politiche per la ricerca applichino meccanismi finalizzati a garantire maggiori eterogeneità ed equità, al fine di sostenere filoni di ricerca non necessariamente associati al mainstream e, soprattutto, una distribuzione più equilibrata delle risorse tra grandi e piccoli centri, così come tra Nord e Sud d’Europa.
Dal tempo che farà domani alle condizioni economiche del prossimo futuro, la ricerca scientifica riguarda tutti noi. Ed è nostra responsabilità collettiva mobilitarci perché la scienza, magari cominciando da quella economica, sia praticata secondo il principio della pluralità e non diventi così raffinata e perfetta da finire per trascurare un elemento fondamentale: l’essere umano.