Il megafono di Abdesselem el Danaf

Abdesselem el Danaf è stato ucciso mentre protestava per i suoi diritti. Durante un picchetto.

di Angelo Miotto
@angelomiotto

È stato investito da un camion guidato da un altro lavoratore, istigato, così dicono fonti oculari a Radio Popolare, da un dirigente della ditta piacentina Saem, in appalto alla Gls.

Un uomo, già professore di matematica in Egittto, in Italia costretto ad altro lavoro, con figli e famiglia, ucciso durante una manifestazione del tutto normale come quella di reclamare per i propri diritti. Il megafono ancora in mano. Dobbiamo chiamare tutti a spegnere l’enfasi che è nemica della conoscenza e della realtà e dire semplicemente che questa vittima è una vittima imperdonabile a priori, senza dover colorare su titoli e social un disegno che di per sé è già dentro le tinte della disperazione.

Ci sono diversi aspetti che chiamano di questa vicenda: il primo è che sia potuta accadere, come sia potuto accadere. Il secondo è nella ricostruzione della Procura che ci lascia non solo perplessi, ma allarmati. Il terzo è lo sciacallaggio mediatico di regime in tivù, dove in alcuni servizi si è sentito parlare di incidente, o in alcuni titoli di stampa in cui non c’è stata non diciamo solo mancanza di professionalità, ma addirittura di pietà nello scrivere orrori e storture.

C’è poi la questione principale della difesa dei propri diritti e la morte, l’uccisione anzi, di El Danaff: sarà la goccia che lascia traboccare il vaso colmo di storie che esistono, ma non vengono raccontate? Eppure sono tutte intorno a noi. Sono le storie che non riguardano solo ‘i cipputi’, gli operai, ma anche gran parte del mondo impiegatizio e delle professioni intellettuali precarizzate. Sono le storie che vedono un progressivo abbandono dei diritti così faticosamente conquistati – anche nel sangue e con i morti – da oltre un secolo. Scritti negli statuti, nelle leggi, citati nella Costituzione, ma che sono stati demoliti dalla contemporaneità cattiva ed egoista. Dal capitalismo della paura.

Ho diritti, non li esercito, se cerco di esercitarli mi mettono nelle condizioni di non esercitarli, con minaccia esplicita, con autocensure indotte. Le strade sono molte, le più battute sono quelle in cui i lupi si travestono da agnelli.

L’operaio faceva un picchetto. E mi sono immaginato quanto può suonare vecchia quella parola a tanti. Un picchetto. Un assembramento di persone che lottano per un diritto o con delle richieste esercitando una pressione, in un gioco di forze. Spesso dove chi chiede ha meno forza e più possibilità di soccombere, non solo fisicamente. Eppure lo sciopero, il picchetto, la presenza del corpo, fisica, è sempre stato un elemento della lotta, della rivendicazione.

Picchetto; ad altri sarà suonata come qualcosa di violento, una vecchia pratica da rottamare.

La ricostruzione di quanto accaduto non dovrebbe essere difficile da stabilire, con un grado di approssimazione alla verità molto alto e le testimonianze raccolte dicono già molto e diversamente da quanto dicono le vesti istituzionali. Vediamo, vedremo i risultati.
Ma negli anni della produzione a tutti i costi, dell’incubo del pareggio di bilancio, del totem del rapporto debito/PIL, di un futuro fatto di concessioni al capitale e sottrazioni ai diritti nel nome della modernità, c’è da sempre non una, ma mille note stonate.

Noi le sentiamo, ma troppo spesso non arrivano alle orecchie dei più. O se arrivano non sono significative, perché opporsi è difficile, spesso l’arma psicologica viene giocata con astuzia, con determinazione, con i discorsi degli imprenditori che rinfacciano al singolo che cacciano che si devono prendere cura di altre cinquanta persone. Illuminati, loro. Benefattori, sempre. Mentre si spartiscono il profitto. I toni sono tornati quelli degli ordini indiscutibili, le carezze son quelle degli oligarchi al figlio della serva, la considerazione sociale premia il furbo che ce la fa e non l’onesto che combatte per i propri diritti. Ecco; tutto questo sta dietro questa orrenda morte. E ci stava anche prima, senza che l’operaio con figli e famiglia venisse schiacciato dal camion. Ma lui mostra, per un attimo, prima di entrare nell’oblio collettivo.

Adesso, in queste ore, i fatti drammatici scatenano nelle platee social i sensi di colpa, le reazioni di pancia, gli strilli, gli strepiti odiosi e speriamo che su questo caso si torni invece ai pensieri più classici di quella che è sempre stata una lotta, una volta di classe, ma ancora oggi contemporanea fra capitale e lavoro, fra profitto e uomo, fra diritti e negazione degli stessi.

Hanno atomizzato il lavoro, le vite, hanno disperso le forze, hanno distrutto l’essere insieme. Ma queste cose ormai sono del tutto evidenti.

Manca la forza che unisce, perché non è più vissuta come una priorità. Manca un pensiero, che sia pratica e che dica sempre cosa si può fare per spostare un centimetro più in là il progresso e i diritti di una civiltà.

Che la terra ti sia lieve Abdesselem el Danaf.