L’educazione sessuale prima e dopo lo smartphone

Il mondo è cambiato velocemente. È tutto diverso dagli anni della mia adolescenza.

di Alessandro Di Rienzo

È cambiato da quando per masturbarmi nella mia cameretta di Ferrazzano alternavo le puntate di “colpo di grosso”, tutte rigorosamente videoregistrate e ripassate a rallentatore, alla lettura dell’opera omnia del Marchese De Sade, edizione economica Newton Compton.

La mia educazione sessuale parte da lì. Da nastri Vhs tirati fotogramma per fotogramma fino a strapparsi e alla lettura di orge immaginifiche e sofisticate. Nell’unica libreria di Campobasso un ragazzo più grande che dal Molise andò a studiare alla Bocconi mi consigliò di leggere le orge di De Sade come la rappresentazione di macchinari tradotti dall’allora nascente rivoluzione industriale: “Sono ingranaggi perfetti” mi disse, “descrivono meticolosamente i rapporti di classe e ogni persona rappresenta uno strumento nell’ingranaggio”. Parlava disinvoltamente di “fabbrica libertina”. Da quelle parole nacque una sorta di mio personale consumo critico dell’immaginario erotico e sessuale che man mano mi si svelava. Ci misi poco a intuire che le ragazze presentate con tono gaudente da Umberto Smaila non venivano dalla Spagna, dalla Cecoslovacchia, dalla Polonia o dalla Germanania. Se osservavo attentamente i lineamenti dei volti, oltre che dei seni e delle natiche, capivo che più o meno provenivano tutte dall’Europa dell’Est e probabilmente potevano avere raggiunto Milano dallo stesso autobus partito da Bucarest o da Sofia. La lettura quotidiana de il Manifesto raccontava di una Europa che si andava ridelineando dopo la caduta del muro di Berlino, nascevano nuovi stati e alcuni regimi si sgretolavano e io fissavo nella testa, tra una autoreggente lentamente sfilato e un articolo di Astrit Dakli, la nuova geografia. Tra il televisore e la libreria un sorriso lievemente ammiccante di Karl Marx, stampato su un ritratto trafugato dalla sede del Pci divenuto Pds. Noi che avevamo fondato Rifondazione Comunista prendemmo tutto il prendibile che non doveva appartenere più ai traditori della falce e martello.

Poi venne il porno, sempre in Vhs. Divenni amico della proprietaria dell’unico videoclub di Campobasso che mi regalava, dopo il periodo di permanenza nel distributore automatico simile ai bancomat, caterve di cassette di ogni genere e io salvavo dall’oblio i film d’autore e i porno. Collezionavo film tedeschi dei primi anni ’80 che raccontavano una società già libera che voleva continuare a liberarsi: una donna piacente sulla quarantina torna a casa ma trova il marito nudo avvinghiato a una ventenne e, contrariamente a quello che avrebbero fatto più o meno tutti, non si scompone ma chiama a sua volta un giovane amante per amare e condividere maggiormente il rapporto con il proprio marito; film italiani di fine anni ’80 dove quasi tutti proprietari di ville borghesi costringevano le cameriere ad avere rapporti sessuali mentre le mogli frustrate facevano altrettanto con operai, falegnami o idraulici. Questo il prodotto culturale lasciato dalla Milano da bere di craxiana memoria. Un regista veniva addirittura dal Molise e girava film spesso a Budapest, all’anagrafe era Alessandro Perrella ma sulla pellicola di terz’ordine firmava Alex Perry. Cotanta educazione sessuale era materia comparata all’educazione sentimentale, L’uomo che amava le donne di Truffaut e i film di Philippe Garrel contribuirono definitivamente a fare di me un uomo guasto.

Venne quindi l’ora di mettere in pratica cotanta formazione teorica, poi venne il trasferimento a Napoli per l’università. Emulatore delle atmosfere bohémien costrinsi mia madre ad allocarmi in un monolocale all’ultimo piano di una fetida palazzina dei Quartieri Spagnoli. Quando visitai per la prima volta la stanza nella cassettiera trovai due vibratori e un pacco di giornaletti che prontamente nascosi agli occhi di madre. Scampanellarono per lunghe settimana prima di rassegnarsi al cambio di utenza e Ciro, il figlio del gestore della trattoria Nennella che era sotto la mia finestra mi disse con sguardo sornione: “stai dove stava la maestra del doposcuola”.

Poi presi una stanza in casa con molti altri studenti, ragazze e ragazzi, nel grande salotto di via Paladino 9, tra il televisore e il divano, montammo una libreria e in bella vista posizionammo la collezione di Vhs porno con nessuna immagine ma gli inequivocaboli titoli stampati sui nastri adesivi della dymo. La stanza divenne rifugio amoroso di molti amici, su prenotazione il salotto era spesso inagibile per lunghe ore, avevo incosapevolmente creato un boudoir di ispirazione desadiana anche se non ero il più assiduo frequentatore di quel luogo.

Con somma gioia credo di essere appartenuto all’ultima generazione che dalla società ha ricevuto una informale educazione sessuale prima della diffusione di internet e degli smartphone. Mi cadono le braccia a immaginare gli adolescenti di oggi, spesso bambini, che ricevono le prime informazioni sul sesso da ragazzi poco più grandi i quali pubblicano video dei propri rapporti nei bagni delle scuola o nei parchi cittadini. Il caso tornato alla cronaca in questi giorni ha numerosi precedenti: su tutti un precursore umbro che pubblicò il video della sua ex ancora minorenne. Ma almeno nel filmato era ritratto anche lui, una sorta di autodenuncia che gli procurò una condanna per pedopornografia. A differenza della napoletana l’umbra avrà avuto un buon padre, forse avvocato, che avrà speso molto tempo per la rimozione del video da ogni meandro del web. Ma sono tante le ragazze che hanno la propria giovinezza complicata da un video girato nella complicità di un momento e pubblicato a loro insaputa. Sì perché il porno, quello amatoriale come quello industriale, è un mercato quasi interamento ad uso e consumo degli uomini. Se il genere gonzo nel giornalismo ha avuto un relativo successo, nel porno amatoriale ha sfondato. Però sulla carta stampata il soggetto è dichiarato e la narrazione è in prima persona mentre nel porno il soggetto è l’organo sessuale maschile, non la faccia del protagonista. Così un uomo si è visto assolto per una fellatio fedigrafa in terra di Sicilia, il giudice ha detto che un uomo non è riconoscibile dal suo pisello e così, ad avere avuto la vita rovinata, è stata solo la donna.

A riparare i danni della contemporaneità servirebbe finalmente riconosciuta come materia scolalistica l’educazione sessuale. Almeno tre ore a setimana, dalle medie all’ultimo anno delle superiori con ginecologi e urologi che entrano in classe come tutte le varianti del mondo lgbt. Il corso dovrebbe avvalersi di film e letteratura, lo studente dovrebbe essere soggetto a valutazione, un giudizio vero che dovrebbe fare media con le altre materie. Cotanti laureati in scienze sociali o relazionali avrebbero un’opportunità di lavoro e il sesso verrebbe finalmente sdoganato nelle mura di una classe, sciorinato all’inverosimile per non lasciarlo nei soli bagni della scuola che ne fanno involontariamente da set per video che diverranno presto oltraggiosi.