Dodici risposte a dodici affermazioni, smontate punto per punto
di Andrea Colasuonno
Fiamma Nirenstein, giornalista e scrittrice, ex deputata del Popolo delle Libertà e convinta sionista, nel mese di luglio ha pubblicato un libro intitolato Le 12 bugie su Israele. Nel breve testo, uscito come supplemento per il quotidiano il Giornale, l’autrice prova a smontare le menzogne più comuni che a suo avviso si dicono su Israele.
L’operazione secondo noi le è riuscita male, soprattutto perché per smentire tali presunte falsità ha dovuto usare a sua volta letture distorte del conflitto e mezze verità. Ecco che abbiamo deciso di prenderci la briga di chiarire punto per punto cosa non vada nei suo ragionamenti.
Affermazione n. 1: la Palestina terra desertica senza popolo.
“Non c’è mai stata una cultura o una lingua palestinese, né uno stato governato da arabi palestinesi. Invece Israele è divenuta una nazione già nel 1312 avanti Cristo”. Così spiega la Nirenstein già nella prima pagina del suo libretto, come a voler fare intendere da subito il tenore delle argomentazioni. Si potrebbe far notare che i primi stati-nazione si andarono delineando in Europa intorno al 1500 dopo Cristo, e che parlare di “nazione” ai tempi di Nabucodonosor II è quantomeno forzato. Ma non stiamo qui a sottilizzare.
Il punto su cui insiste l’autrice è che gli sparuti (secondo lei) abitanti di quella regione che è la Palestina storica, fossero arabi in generale e non nello specifico palestinesi. Questo discorso tuttavia andrebbe dunque applicato anche a Siria, Libano, Giordania ed Iraq che furono parte indistintamente dell’Impero Ottomano per circa 600 anni, fino alla dissoluzione di quello nel 1920. Israele, secondo questa tesi, dovrebbe avere allora il diritto di espandere il proprio stato ovunque non ci sia una popolazione risalente ai tempi di Nabucodonosor.
Affermazione n. 2: il termine Palestina
Non contenta di averci dedicato il primo punto, la Nirenstein anche nel secondo capitolo del suo lavoro torna a spiegare che il nome Palestina non indicava una nazione preesistente. Eppure quel termine per indicare quell’area e la gente che la abitava era totalmente accettato dalla comunità internazionale. Lo dimostra il fatto che nella Dichiarazione Balfour (1917) il termine “Palestina” viene usato diverse volte, anche in passaggi fondamentali come “il governo di sua maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico […]”. Del resto nel Trattato di Versailles (1919) si parlò di “Mandato britannico della Palestina”.
Secondo la Nirenstein gli arabi giunsero in massa a popolare quell’area solo dal 1880 in poi, quando si accorsero che si stavano insediando gli ebrei. “I palestinesi aumentarono di numero provenendo dai vari paesi circostanti solo quando i pionieri sionisti aprirono le porte del lavoro in quella terra prima abbandonata e incolta”. Questa tesi tuttavia non sembra poter spiegare la presenza di città millenarie ubicate proprio in quella zona come Gerico, Jenin, Betlemme, Nablus, Ramallah, oltre a Gerusalemme ed Hebron, che però l’autrice ritiene città da sempre ebraiche.
Andando avanti nel libro inoltre si legge che i pionieri ebrei, durante le prime migrazioni, comprarono onestamente la terra dagli arabi. Così vien da chiedere: quella terra non era un appezzamento desertico senza popolo? Da chi comprarono quei terreni i primi coloni ebrei? Una compravendita si basa su atti che attestino un possesso e una cessione, dunque anche delle forme di amministrazione. Ne consegue il dubbio che quelle terre non fossero così disabitate.
Affermazione n. 3: Monte del Tempio, Spianata delle Moschee
La Nirenstein si lamenta del fatto che a Gerusalemme l’attuale Spianata delle Moschee sorge dove prima (tipo 2500 anni fa) sorgeva il Tempio di Salomone. Il problema per lei è che i musulmani impediscono agli ebrei di pregare in quell’area. E quindi? Si potrebbe rispondere. A Palermo l’attuale cattedrale in passato è stata a lungo una moschea, lo stesso la Basilica di Santa Sofia ad Istanbul, e nessuno fa problemi come a Gerusalemme. Le città del Mediterraneo sono piene di casi simili.
Strano poi immaginare che i palestinesi possano impedire qualcosa agli israeliani, visto che Gerusalemme è governata e occupata militarmente dall’esercito ebraico. La recente serie di attentati con i coltelli è seguita proprio al divieto di accedere alla Spianata imposto dagli israeliani agli arabi. La Seconda Intifada è scoppiata – anche – a seguito di una passeggiata sulla Spianata di Sharon e i suoi uomini. Il 20 ottobre 2015 l’Unesco ha condannato “la gestione israeliana della Spianata”, da cui si evince che c’è proprio una gestione israeliana di quel luogo. Qualche giorno prima, il 18 ottobre, Netanyahu aveva negato l’accesso ad osservatori internazionali in quell’area, da cui si evince che Netanyahu ha il potere di decidere chi accede e chi no a quelle moschee.
Affermazione n. 4: l’accusa del sangue
La Nirenstein rimanda al mittente le accuse di praticare apartheid, crimini di guerra e occupazione, rivolte a Israele. L’Unione Europea, l’Onu, il Consiglio dei Diritti Umani, l’Unesco sarebbero mossi, secondo l’autrice, da “antisemitismo israelofobico”. In sostanza non è vero che coloni ed esercito violano i diritti umani e il diritto internazionale. Se lo fanno sono solo una piccola minoranza che viene puntualmente perseguita dalla legge.
Eppure basterebbe ricordare pratiche come quelle della “detenzione amministrativa”. Oppure solo una delle 47 testimonianze di ex soldati dell’Idf raccolti qualche anno fa. Lo fece l’Ong Breaking the silence in un rapporto intitolato “Children and Youth – Soldiers’ testimonies 2005-2011”, dedicato alle violazioni sui bambini. Si leggono cose tipo “una volta l’autista del blindato è sceso, ha afferrato un ragazzino e ha cominciato a picchiarlo a sangue. Non stava facendo nulla, era seduto sul marciapiede”. Ribadiamo, sono parole che appartengono a soldati dell’esercito israeliano. A questo proposito è recente la notizia che il parlamento dello Stato ebraico abbia approvato una legge che abbassi a 12 anni l’età per cui è possibile condannare al carcere bambini (palestinesi) responsabili “atti di terrorismo”.
Si potrebbe anche ricordare, a mo’ di esempio, il recente caso del sergente israeliano Elor Azaria che nel marzo scorso uccise il palestinese Abdel Fatah al Sharif. Questo, dopo aver attaccato il sodato, giaceva ferito e inerme per terra, non più in grado di nuocere. Per dire quanto questi soggetti siano isolati e perseguiti, basta sapere che il parlamentare Sharon Gal da subito avviò una campagna di crowdfounding in favore di Azaria. Il soldato era stato portato a processo, e per lui si raccolsero in 24 ore 128 mila dollari. Ricevette inoltre il sostegno d’importanti esponenti del mondo politico e dello spettacolo che inneggiarono a lui come a un “eroe”.
Affermazione n. 5: gli insediamenti
“Gli insediamenti nascono come presidi di difesa e come memoria di un’antica presenza ebraica su territori di dominazione Giordana”, spiega la Nirenstein. Le colonie dunque “non sono illegali”. E invece lo sono, per il diritto internazionale lo sono. Lo sono a causa dell’articolo 11 del Trattato di Montevideo e dell’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra. Hanno condannato negli anni questi insediamenti la Corte Internazionale di Giustizia, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e l’Assemblea generale. Ne ha ribadito inoltre l’illegittimità una risoluzione del Parlamento Europeo votata il 17 dicembre 2014.
L’autrice specifica che nella famosa risoluzione 242 delle Nazioni Unite si dice che Israele non deve “restituire” i territori occupati, ma “ritirarsi”. Ammesso che la sottigliezza abbia senso, Israele non si sta neanche ritirando dai territori, oltre a non restituirli. Le colonie sono oggi 133 e i coloni 500 mila. Negli ultimi 7 anni i “settlers” sono aumentati del 20% e continuano a crescere in numero. La Nirenstein conclude dicendo che i confini del ’67 a cui oggi i palestinesi chiedono di tornare non sono sicuri. Ovviamente senza poi specificare quali sarebbero i confini sicuri.
Affermazione n. 6: i palestinesi non sono vittime
“I palestinesi hanno acquisito una grande autonomia di gestione del proprio presente e futuro. […] Insomma il 98% dei palestinesi dal 1996 non vive sotto occupazione e dunque si autoregola e si autogoverna con le sue leggi”. Ah sì? Sembra quasi ridondante farlo, eppure tocca procedere con qualche domanda. La Palestina ha un suo aeroporto? No. Qualunque palestinese voglia uscire dalla sua terra, anche solo per andare in Giordania, deve passare per un controllo israeliano. La Palestina ha una sua moneta? No. Usa quella israeliana. La Palestina dispone dell’acqua del suo sottosuolo? No. È una società israeliana che ne dispone la quale la rivende a prezzo maggiorato ai palestinesi. La stessa società stabilisce anche la quantità da concedere.
La Palestina, ancora, dispone delle tasse dei suoi cittadini? No, non completamente. Gli israeliani ne riscuotono una parte per conto dell’ANP a cui poi dovrebbero girarle. Quando la Palestina ha chiesto di aderire alla Corte Penale Internazionale fra il 2014 e 2015, per ritorsione, Israele, ha bloccato per 3 mesi il versamento. Non era la prima volta che usava il ricatto economico come arma di persuasione. Infine i palestinesi che vivono in Area A, che quindi sottostanno esclusivamente al controllo dell’ANP sono il 55% e non il 98%. Insomma, come non notare la grandissima “autonomia di gestione del proprio presente e futuro” di questo popolo.
Affermazione n. 7: Israele non è uno Stato di apartheid
“L’idea di base è quella di accusare Israele dei crimini più invisi al mondo contemporaneo così da renderlo uno Stato canaglia da boicottare e alla fine da cancellare, come il Sud Africa dell’apartheid, appunto”. È sempre la Nirenstein che parla. Sarebbe fin troppo facile a questo punto ricordare le parole di Nelson Mandela sulla Palestina. Ma visto che il Sud Africa lo tira in mezzo lei, lo facciamo. “La Palestina è la questione morale del nostro tempo” dichiarò una volta il Premio Nobel per la pace, “sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza quella dei palestinesi”.
Leggendo oltre si apprende poi che “Israele non distingue nella sua legislazione fra razze, etnie, religioni, salvo che per l’ammissione immediata alla cittadinanza israeliana […]”. A noi risulta che non sia proprio così. Nel 2011 un rapporto esclusivo dell’Unione Europea redatto dagli ambasciatori dei Paesi membri ha presentato le condizioni di vita della minoranza araba: più del 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, solo il 3% possiede terreni. Inoltre gli arabi sono spesso svantaggiati nell’istruzione considerato che ad esempio la leva militare dà punteggi per l’Università, ma il servizio militare è loro precluso.
Bisogna ammettere che alla Knesset siedono parlamentari di origine palestinese, eletti da partiti arabi. Bisogna però poi aggiungere che il 23 novembre 2014 è passata la legge per cui Israele diventava ufficialmente “Stato della nazione ebraica”. Con questa s’impone ai legislatori di ispirarsi per le leggi ai valori ebraici di quel popolo. È invece del 20 luglio 2016 la notizia che sia stata approvata una legge che permette di sospendere i parlamentari palestinesi che “incitino al terrorismo e alla lotta armata contro Israele”.
Si capisce facilmente che nelle parole “incitino al terrorismo” può starci dentro tutto. Infine merita menzione il trattamento riservato dallo stato ebraico verso gli ebrei etiopi. È sintomatico il fatto che questi scendano in piazza a cadenza regolare per protestare contro i ripetuti abusi della polizia e le discriminazioni economiche, sociali e, a loro dire, istituzionali, che sono costretti a subire.
Affermazione n. 8: il genocidio dei palestinesi
Secondo la Nirenstein, durante la guerra che portò alla fondazione dello stato israeliano nel 1948, “i palestinesi se ne andarono in gran parte dalle loro case sulla spinta dell’invito arabo (diffuso per radio dalla Siria) a sgomberare […]”. “[…] Sulla fuga di molti arabi dalle loro case”, continua la scrittrice, “non ci fu nessuna programmazione israeliana, ma una congerie di motivi legati alla guerra”. Per corroborare queste tesi, poi, cita lo storico Benny Morris.
Peccato che si dimentichi di citare però altri storici di professione, ad esempio Ilan Pappé e tutta la letteratura della “Nuova storiografia israeliana”. Pappé nel suo testo più famoso, lungo quasi 400 pagine e intitolato “La pulizia etnica della Palestina”, spiega che forse le cose non andarono proprio come dice la Nirenstein. Certo alcune letture delle vicende fatte dallo storico sono criticate dalla storiografia ufficiale, tuttavia i fatti raccontati sono certi e c’è molto poco da criticare.
L’esistenza di una cosa chiamata “Piano Dalet” è accertata, ossia il piano delle forze militari ebraiche per conquistare la Palestina. Nella sezione 3b del Piano si legge «distruzione dei villaggi (appiccarvi il fuoco, farli saltare in aria con esplosivi e disseminare di mine le macerie), in particolare i centri di popolazione in cui è difficoltoso il controllo continuo. […] In caso di resistenza, le forze armate devono essere distrutte e la popolazione espulsa al di fuori delle frontiere dello Stato ebraico».
Eventi come il massacro di Tantura, l’Operazione Hiram, il massacro di Dawaymeh o di Der Yassin, che li si voglia definire genocidio o meno, ci sono stati.
Tzachi Hanegbi, attuale ministro della Sicurezza nazionale, ha recentemente ammesso che centinaia di bambini palestinesi furono rubati alle loro madri negli anni successivi la fondazione d’Israele. Stiamo parlando di un esponente del Likud, il partito di Netanyahu, non proprio un covo antiebraico. Questo avvallerebbe la tesi per cui non fu semplicemente un invito degli amici arabi a convincere i palestinesi a partire.
Affermazione n. 9: Israele non fa uso sproporzionato della forza militare
Arrivati a questo punto la Nirenstein ha l’urgenza di giustificare l’altissimo numero di vittime civili che Israele fa ad ogni recrudescenza del conflitto con i palestinesi. Il riferimento è ovviamente agli ultimi sanguinosissimi scontri con Hamas a Gaza. A questo proposito spiega che le forze armate ebraiche sono costrette a mietere quelle vittime, considerato che i palestinesi lanciano razzi dai centri abitati e usano i bambini come scudi umani.
Va chiarita una cosa: mentre è vero che le scuole Onu di Gaza siano state usate in qualche circostanza da Hamas come deposito per le armi (mentre i bambini non frequentavano le stesse), non esiste neanche una testimonianza foto o video, né rapporti Onu o di altri enti e organizzazioni super partes, né dichiarazioni di politici, ambasciatori o giornalisti internazionali, che confermino che a Gaza si usino bambini come scudi umani durante i bombardamenti. È un’idea completamente priva di qualsiasi fondamento oggettivo. I pochi articoli che hanno provato a parlarne (quasi sempre di giornali smaccatamente filo-israeliani), attingono le loro notizie da un rapporto messo insieme da una Ong di ex agenti dell’intelligence israeliana. Rapporto che comunque resta irrintracciabile e inconsultabile.
Chiarito questo, e tornado all’uso sproporzionato della forza, si possono lasciar parlare i numeri. 2006, Operazione Piogge Estive: 5 israeliani uccisi (tutti soldati), 402 palestinesi (di cui 177 civili); 2008, Operazione Inverno Caldo: 4 israeliani uccisi (di cui 3 soldati), 112 palestinesi (di cui 58 civili); 2009, Operazione Piombo Fuso: 13 israeliani uccisi (di cui 10 soldati), 1387 palestinesi (di cui 773 civili, 320 minorenni). Durante questa guerra Israele usò anche armi al fosforo bianco di produzione statunitense. 2012, Operazione Colonna di nuvola: 6 israeliani uccisi, 171 palestinesi (di cui 71 civili); 2014, Operazione Margine di protezione: 72 israeliani uccisi (di cui 66 soldati); 2251 palestinesi (di cui 1462 civili, 490 minorenni).
Affermazione n. 10: Israele non è un paese autoritario verso i non ebrei
“Israele è lo Stato del popolo ebraico, come l’Italia è lo Stato del popolo italiano”, eppure non discrimina quelli di altre fedi, spiega l’autrice. In realtà non è che la comparazione le sia venuta proprio bene. Essere italiano non vuol dire essere di una religione come essere ebreo. Precisamente avrebbe dovuto dire “Israele è lo Stato del popolo ebraico, come l’Italia è lo Stato del popolo cattolico”. Per fortuna, però, l’Italia, nonostante il suo rapporto complicato con la laicità, non sta cercando di diventare uno stato confessionale dal punto di vista giuridico come Israele. Ecco che l’equazione non ha senso. Per le altre argomentazioni circa il fatto che Israele discrimini o meno i non ebrei rimandiamo a quanto detto nel punto 3 e nel punto 7 di questo lavoro.
Andando avanti comunque la Nirenstein racconta che a Betlemme c’è un’espulsione sistematica dei cristiani da parte dei musulmani, e che la libertà di culto in Palestina e negli altri paesi musulmani è incomparabile con quella che vige in Israele. Circa la persecuzione dei cristiani a Betlemme, basterà far notare che l’attuale sindaco della città si chiama Vera Baboun, è donna, non porta il velo ed è cristiana. I cristiani a Betlemme sono circa il 20%, quindi la Baboun è stata certamente votata anche da musulmani. In Palestina cristiani e musulmani vivono senza sostanziali problemi, lo stesso in altri paesi come il Libano, Iraq e Siria prima della guerra, o l’Egitto, dove risiede da sempre una significativa minoranza copta. Perfino presso l’acerrimo nemico di Israele, la Repubblica Islamica dell’Iran, vive senza problemi una minoranza armena e anche un piccolo gruppo di ebrei.
Affermazione n. 11: il terrorismo e la nascita dello Stato palestinese
Secondo la Nirenstein il terrorismo dei palestinesi non nasce dalla frustrazione di non avere ancora uno stato dopo quasi 70 anni di conflitto. Solo che poi, sempre la Nirenstein, si dimentica di dirci da cosa nasce. A sentirla sembra che in Palestina farsi saltare in aria o ammazzare la gente, sia una specie di sport nazionale, o un diversivo come un altro. Si stranisce la Nirenstein del fatto che a Gaza, pur “completamente liberata” dalla presenza ebraica nel 2005, sia al potere una forza islamica radicale che continua ad avere rancori verso Israele.
Completamente liberata? Gaza è una striscia di terra lunga 40 km e larga 8, interamente circondata dall’esercito israeliano. Entra ed esce da quella terra solo ciò che decide Israele, aiuti umanitari compresi. In una zona tanto striminzita, gli agricoltori devono rimanere a 1,5 km di distanza dal confine, pur avendo terre di proprietà in quello spazio, pena l’essere sparati addosso. La stessa cosa sul fronte mare. I pescatori possono gettare le reti restando entro 6 miglia marine, dove la pescosità delle acque è ormai ridottissima. Da accordi potrebbero spingersi fino a 20 miglia. A questo si aggiunga la disoccupazione più alta del mondo (il 43%), l’80% di popolazione che dipende dagli aiuti umanitari e solo il 10% di case ricostruite fra quelle distrutte dopo l’ultima guerra.
Inoltre la Nirenstein tralascia un aspetto fondamentale: se Israele vuole la fine del terrorismo, perché poi ostacola, con l’avvallo degli Usa e del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, tutte le iniziative diplomatiche della Palestina? Lo ha fatto nel caso della prima richiesta di statualità da parte palestinese nel 2011. Si è opposto allo stesso modo, ma inutilmente, al secondo tentativo nel 2012. Ha ostacolato l’ingresso della Palestina all’Unesco e alla Corte Penale Internazionale. Senza contare che l’attuale Primo Ministro del paese, Benyamin Netanyahu, domenica 15 marzo 2015, in piena campagna elettorale, durante un’intervista al quotidiano Nrg, ha esplicitamente detto che se avesse vinto lui, non sarebbe nato nessuno stato di Palestina. Infatti poi ha vinto. Infatti non sta nascendo nessuno stato di Palestina.
Affermazione n. 12: il terrorismo palestinese è lo stesso dell’Isis e Al Qaeda
Per il gran finale la Nirenstein impiega ben 4 pagine per elencare tutti gli episodi più truci causati dal terrorismo palestinese. Secondo lei questo tipo di terrore è lo stesso seminato dall’Isis, anzi ne è l’ispiratore. Non vuole sentire parlare di “guerra di liberazione” e se la prende addirittura con quei sovversivi di Ban Ki-Moon, Papa Francesco e Joe Biden (il vice di Obama), perché non trattano pubblicamente i fatti sanguinari che avvengono in Israele alla stregua di quelli che avvengono in Europa.
Gli atti violenti dei militanti dell’Isis sono mirati a un’applicazione radicale dei precetti del Corano e all’instaurazione di un Califfato con cui sottomettere il mondo intero; gli atti violenti dei palestinesi sono mirati a un rigetto dell’occupazione militare israeliana e alla fine della colonizzazione illegale del suolo dello Stato di Palestina. Nei territori palestinesi al momento l’Isis non esiste, tanto meno Al Qaeda. I palestinesi vogliono solo ciò che l’Onu, in diverse risoluzioni, ha sancito che spettasse loro.
“Il terrorismo è la scelta basilare della guerra palestinese contro Israele” dice invece la Nirenstein. “Lo è esplicitamente per quel che riguarda Hamas e implicitamente per quanto riguarda Fatah”. Parla dunque di “guerra palestinese contro Israele”, senza ricordarsi che la guerra è quella fra due eserciti e la Palestina non è ha uno. Ci sono gruppi armati in Palestina, eppure lei non vuole sentire parlare di “resistenza” e “liberazione”, considerando il tutto semplice e generico terrorismo. Così fa confusione, la stessa che fa, a nostro avviso, per tutto il saggio, con tutti gli aspetti trattati. Una gran confusione pur di non vedere che l’ultima Intifada, se una ce n’è, è quella dei coltelli. Il terrorista che colpisce con un’arma che preveda per forza il corpo a corpo, è forse il più disperato di tutti. E forse questa gente non vuole altro che una speranza, una via d’uscita possibile da una situazione che non si può sostenere più.