Arrivano anche in Italia le immagini scattate dall’ex fotografo della polizia di Damasco che hanno fatto conoscere al mondo la ferocia della repressione assadiana. Una mostra scomoda ostacolata dalla politica e non solo
di Germano Monti, tratto da FrontiereNews
Il prossimo 5 ottobre, al MAXXI di Roma, verrà inaugurata la mostra delle fotografie scattate da “Caesar”, nome in codice che protegge l’identità di un ex fotografo della polizia militare di Damasco, il cui incarico era stato per anni quello di riprendere le varie scene del crimine, quali omicidi, furti, rapine, incidenti stradali, ecc.
Un lavoro di routine, simile a quello di tanti suoi colleghi nelle polizie di tutto il mondo, fino a quando, ne primi mesi del 2011, arriva anche in Siria il vento rivoluzionario della primavera araba.
Iniziano e si moltiplicano le manifestazioni che chiedono riforme, manifestazioni pacifiche che il regime di Bashar Assad, però, tenta di reprimere con l’impiego di un livello di brutalità e ferocia sconosciuto persino ai vecchi dittatori di Egitto e Tunisia, nel frattempo deposti.
Il lavoro di Caesar e dei suoi colleghi siriani cambia: non si tratta più di fotografare normali scene di eventi criminosi, ma di documentare la fine che il regime riserva ai suoi oppositori. Una fine terribile, come terribili sono le fotografie che Caesar deve scattare ai corpi delle vittime delle torture inflitte loro dagli agenti di Bashar Assad.
Per due anni, fino all’estate del 2013, Caesar fotografa per gli archivi dei servizi di sicurezza i corpi macellati di migliaia di persone uscite senza più vita dalle carceri di Damasco. Sono immagini indescrivibili, che documentano una realtà che richiama alla mente quelle che tutti abbiamo visto sui nostri libri di storia e nei documentari sui campi di sterminio nazisti, con la sola differenza che le foto di Auschwitz e Mauthausen sono tutte in bianco e nero, mentre quelle di Damasco sono a colori.
Rischiando di essere scoperto e di fare la stessa fine dei soggetti delle sue foto, Caesar copia tutte le immagini scattate su una chiavetta e le conserva, condividendo il suo segreto e la sua angoscia solo con pochissimi amici fidati, insieme ai quali prepara la fuga e l’espatrio, che avviene nell’estate del 2013. Caesar diserta, lascia la Siria e porta con sé decine di migliaia di immagini.
Le fotografie di Caesar vengono analizzate più volte, la prima delle quali, all’inizio del 2014, da un team formato da Sir Desmond Lorenz de Silva (ex procuratore capo della Corte Speciale per la Sierra Leone). Sir Geoffrey Nice (ex procuratore nel processo contro l’ex presidente della Jugoslavia, Slobodan Milosevic) e dal Professor David Crane, che condusse l’accusa contro il Presidente della Liberia e “signore della guerra” Charles Taylor.
Quasi due anni dopo, nel dicembre 2015, anche l’ong Human Rights Watch conclude la sua analisi, pubblicando un dettagliato rapporto che costituisce un atto d’accusa semplicemente sconvolgente, intitolato “Se i morti potessero parlare – Uccisioni e torture di massa nelle strutture di detenzione in Siria”.
Dalle migliaia di foto esportate da Caesar è stata tratta una mostra, composta da una trentina di pannelli, esposta – fra il 2014 e i primi mesi del 2016 – al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York, al Museo dell’Olocausto a Washington, al Westminster, al Parlamento Europeo di Strasburgo, a Parigi, Dublino, Montreal ed altre città, presso aule universitarie o gallerie nazionali.
In Italia, questa mostra arriva solo ora, promossa da diverse associazioni (Amnesty International, la Federazione Nazionale Stampa Italiana, la OCSIV, Articolo 21, UniMed – Coordinamento delle Università del Mediterraneo e Un ponte per…), dopo alcune polemiche che vale la pena di ricordare, se non altro per riflettere su quanto provincialismo e ipocrisia caratterizzino ancora alcuni settori della politica italiana e non solo.
Al Parlamento Europeo, la mostra di Caesar – il cui dossier, nel frattempo, aveva anche determinato l’incriminazione per crimini contro l’umanità di Bashar Assad da parte della magistratura francese – è stata portata dall’associazione “Non c’è pace senza giustizia”, presieduta dall’ex Ministro degli Esteri Emma Bonino.
L’iniziativa era stata sponsorizzata da europarlamentari di quasi tutti gli schieramenti e sostenuta con forza dagli italiani del Movimento 5 Stelle, che ne hanno anche illustrato i contenuti in un loro video, titolato “Torture in Siria: tutto il Parlamento deve sapere”. In quel caso, come spiegato nel video, fu necessario superare l’opposizione dei “questori” del Parlamento Europeo e l’autorizzazione arrivò direttamente dal Presidente del Parlamento medesimo, il socialdemocratico tedesco Martin Schultz.