Spagna. Il calendario dell’azzardo di Pedro Sanchez

I socialisti usciti a pezzi dal voto autonómico in Galizia e Paese Basco. Ma il segretario e candidato Pedro Sanchez gioca il tutto per tutto e chiede un Congresso il 23 ottobre per cercare di essere rieletto segretario. L’ira dei baroni di un partito alla deriva.

di Angelo Miotto
@angelomiotto

Il giorno dopo la sconfitta, anzi già poche ore dopo i risultati della notte elettorale del 25-S spagnolo – Galizia al Partido popular con maggioranza assoluta, con En Marea che supera i socialisti e Paese Basco con Pnv ai massimi storici, sinistra basca che tiene e Podemos terzo partito – il quotidiano progressista El Pais indicava in Pedro Sanchez il colpevole. Quindi colui che avrebbe dovuto assumere la sconfitta, quindi lasciare libero il campo, o accettare di astenersi per la fomrazione di un governo nazionale presieduto da Mariano Rajoy del PP nel nome della stabilità.

E invece Pedro Sanchez, faccia da big-Jim e corpaccione atletico, si è presentato ieri davanti alla commissione permanente del partito e ha attaccato a testa bassa, chiedendo un Congresso straordinario per il 23 ottobre. Lì il partito, sostiene, troverà finalmente una voce unica.

Sanchez non aveva mai confermato, o meglio ammesso, le spaccature evidenti dentro la baronìa socialista, con un numero impressionante di presidenti di regioni autonome contrari alle sue mosse e strategie politiche che hanno portato il Psoe a dire no a un’astenzioneper liberare la strada a Mariano Rajoy. Se a livello nazionale il soprasso di Podemos sui socialisti non è riuscito, il voto di domenica 25 settembre (25-S) in Galiza e Paese Basco è stato letto dagli analisiti come la confemra della voglia di stabilità. In realtà il voto amministrativo è sempre stato caratterizzato da un forte interesse e quindi scelta degli elettori rispetto ai temi locali. ma è anche comprensibile che l’incredibile impasse che sta vivendo la politica nazionale spagnola, con due elezioni e ancora senza governo, porti a considerare qualsiasi minimo riflesso in questa chiave di lettura.

Se è vero che il Partito Nazionalista Vasco (PNV, moderato centro destra cattolico) ha i voti e i seggi per governare con i socialisti, che nonostante la scoppola elettorale farebbero maggioranza, in terra basca c’è un’ipotesi evocata dalla sinistra indipendentista di Eh Bildu e da Arnaldo Otegi, storico leader dell’indipendentismo di sinistra, che indica al Pnv una questione aritmetica: Pnv, più Eh Bildu, più Podemos farebbe 57 seggi sui 75 totali. Cosa potrebbe unire le tre formazioni? il fatto che sono tutte e tre, con accenti anche assai diversi, per il derecho a decidir.

Bildu per rivendicare la sovranità, Pnv per riformare lo statuto, Podemos per una via che porti a un referendum, ma solo dopo che il parlamento nazionale lo abbia autorizzato. E però questa ipotesi sarebbe il segnale più evidente di un ciclo elettorale degli ultimi comizi che hanno relegato in disparte i partiti unionisti, Pse e PPE (Partito socialista e Popolare di Euskadi). Podemos, però, ha già detto che starà all’opposizione. Il Pnv ha parlato di stabilità, il che non richiama alleanze difficili da gestire. Fine di un’ipotesi potente e anche un po’ romantica che lascia però aperta la questione della sovranità, un capitolo che busserà alle porte di Madrid dalle terre basche del nord e da quelle catalane del sud, in una morsa ineludibile.

Ma torniamo ai dolori di Pedro Sanchez e al suo azzardato calendario: sabato si riunisce il comitato federale e si saprà se sarà Congresso. Se prevarrà il sì allora si celebrerà il 23 ottobre.

Nel frattempo, poco meno di un mese, Sanchez dovrà costruirsi una solida alleanza interna, fare campagna e soprattutto cercare di trovare un punto di accordo per arrivare – se e una volta rieletto segretario il 23 ottobre – di fronte al Palramento nazionale con una maggioranza per essere investito come primo ministro. Visto da fuori, il calensario, sembra più di un azzardo. E però la mossa di Sanchez non è spuntata da un cilindro, se ha le carte per davvero si capirà nei prossimi giorni.

Si dice come un mantra in queste settimane che la situazione economica spagnola è migliorata, da quando non c’è un governo. In parte è una boutade, in parte i risultati sembrano validare una leggenda quasi metropolitana. Il problema non è tanto che l’assenza di governo faccia dispiegare le vele, se anche così fosse. È che non si riesce a dare una forma alle volontà di chi ha espresso la propria delega attraverso il voto (anche per quanti, legittimamente, hanno deciso nelle ultime votazioni di non andare a esprimere la loro facoltà). Il 31 ottobre è la data limite per il Paese. Poi saranno elezioni. le terze.