Dopo un’estate ad alta tensione nel territorio Indiano conteso con il Pakistan, un coprifuoco durato oltre 50 giorni e attacchi a basi militari indiane in Kashmir, continua l’escalation della crisi con un attacco oltre frontiera per mano indiana. Un gioco di forza, dove Modi vuole dettare le regole e isolare Islamabad
di Maria Tavernini
L’esercito indiano ha effettuato degli “attacchi chirurgici” contro presunte basi terroristiche in aree del Kashmir sotto controllo del Pakistan (PoK), “causando un importante numero di vittime tra i terroristi e chi li protegge”. Lo ha riferito ieri mattina in una conferenza stampa a Nuova Delhi il direttore generale delle operazioni militari, generale Rambir Singh, spiegando che le operazioni sono una conseguenza dei recenti attacchi terroristici in territorio indiano.
Diversi attacchi si sono susseguiti per tutta la notte lungo la linea di controllo (LoC), una zona cuscinetto che divide la regione dal cessate il fuoco del 1972, segnando un’importante escalation nell’annosa crisi che contrappone le due potenze atomiche. L’esercito pakistano ha confermato unicamente l’uccisione, anzi il “martirio”, di due suoi militari lungo la Linea di Controllo in uno scontro a fuoco “non provocato”, precisa.
Il generale Singh ha dichiarato che gli attacchi erano mirati contro un gruppo di 30 miliziani che si apprestavano ad attraversare la LoC, per infiltrarsi in territorio indiano e attaccare il Kashmir e le zone metropolitane. Singh ha accusato apertamente il Pakistan di non aver dato seguito alle ripetute sollecitazioni affinché il territorio sotto il suo controllo non sia utilizzato come base per attività terroristiche.
Intanto, in un comunicato, il Ministero degli Esteri pakistano ha fermamente condannato le violazioni del cessate il fuoco da parte delle forze indiane, violazioni che sono in linea con le continue schermaglie indiane lungo il confine, alle quali le forze armate Pakistane hanno dato e continueranno a dare risposte adeguate, si legge nel testo, ma smentisce incursioni nel suo territorio. E intanto si susseguono dichiarazioni e smentite tra Delhi e Islamabad.
Il Pakistan ha inoltre respinto il concetto stesso di attacchi chirurgici, “nome dietro al quale si nasconde un’informazione falsa e irresponsabile veicolata ai media indiani, che può far degenerare la situazione già fragile nella regione, in particolare sulla scia delle brutalità e dei crimini di guerra perpetrati in Jammu e Kashmir”. Un diversivo insomma, secondo Islamabad, per distogliere l’attenzione dalla crescente tensione in Kashmir.
India e Pakistan avevano accettato un cessate il fuoco lungo la LoC nel 2003, ma gli sforzi per arrivare a un accordo formale si sono arenati nel 2006. Eppure, dietro le quinte della diplomazia ufficiale, le truppe su entrambi i lati della LoC sono state ingaggiate in un’annosa guerra segreta, a bassa intensità, spesso selvaggia, che la conferenza stampa del generale Singh ha ammesso pubblicamente.
L’attacco di questa notte, come afferma il generale nel suo discorso, è stato la risposta indiana alle ripetute incursioni di militanti e terroristi pakistani sul suolo indiano. L’ultima, quella del 18 settembre scorso, quando quattro miliziani sono penetrati in una base militare indiana a Uri, a poche decine di chilometri dalla Linea di Controllo, uccidendo 18 militari indiani.
Quello di Uri è stato il più grave attentato avvenuto in Kashmir negli dagli anni 90, da quando cioè si è intensificata la guerriglia per l’autonomia del kashmir.
Non si hanno certezze sull’affiliazione dei quattro miliziani, probabilmente erano del gruppo Jaish-e-Mohammed, lo stesso dell’attacco a Pathankot a gennaio. Ma a Delhi non hanno dubbi: venivano dal Pakistan, più volte accusato di coprire i gruppi terroristici che proliferano sul suo territorio garantendone l’impunità.
L’attacco ha scatenato una pioggia di accuse incrociate tra Delhi e Islamabad con il ministro degli esteri indiano, Rajnath Singh, che è arrivato ad accusare apertamente il Pakistan di essere uno “stato terrorista” e di usare il terrorismo come linea politica. Toni aspri che segnano la fine inequivocabile delle trattative avviate tra i due governi, già arenatesi dopo l’attacco di Pathankot e la tensione che è seguita alla morte del combattente kashmiro Burhan Wani.
Uri ha comportato una brusca virata, concordano gli analisti di politica estera, che ha portato l’India ad abbandonare la linea diplomatica e del dialogo per assumere una posizione più netta e intransigente contro il terrorismo di matrice pakistana, finalizzata a isolare politicamente il Pakistan. E mentre Modi dichiarava che l’attacco non sarebbe rimasto impunito, la stampa anticipava “azioni mirate oltre confine”. Azioni che si sono concretizzate la notte scorsa.
Intanto, all’indomani dell’attacco di Uri, il premier pakistano Nawaz Sharif, è volato a New York per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove ha posto sotto gli occhi della comunità internazionale la situazione dei kashmiri e denunciato la repressione e le violazioni dei diritti umani perpetrate impunemente dall’esercito Indiano. Ma l’appello non ha riscosso il sostegno sperato, anzi.
Il Pakistan ha preso pubblicamente le parti della popolazione kashmira appoggiando la proposta dei separatisti di un referendum per l’autodeterminazione, dopo gli ultimi mesi in cui la tensione nel territorio conteso è riesplosa lasciandosi dietro 80 morti civili e migliaia di feriti. Ma si è trovato sempre più isolato politicamente, con l’India di Modi impegnata in una guerra totale, finalizzata alla distruzione della sua reputazione in ambito regionale e internazionale.
Mercoledì scorso, Delhi ha annunciato che non parteciperà al prossimo summit della SAARC (South Asian Association of Regional Cooperation) seguito a ruota da altri tre paesi – Afghanistan, Bangladesh e Bhutan -, che hanno annunciato la loro volontà di boicottare la prossima riunione, prevista a Islamabad nel mese di novembre.
Il premier Narendra Modi, lo stesso che neanche un anno fa era proprio a Islamabad per una visita a sorpresa al suo omologo pakistano Nawaz Sharif, ha anche sollevato la possibilità che Nuova Delhi possa allontanarsi e recedere dall’Indus Water Treaty, un accordo importante negoziato dalla World Bank nel 1960. Trattato che permette al Pakistan di attingere acqua da tre fiumi che scorrono in India, e forniscono acqua al 65 per cento del paese. Schermaglie e dimostrazioni di forza ai due lati della Line of Control.