Il 2 ottobre ungherese

Il referendum ungherese sulla quota dei rifugiati stabilita da Bruxelles, un messaggio del premier Orban rivolto verso l’Europa

di Alessandro Grimaldi, da Budapest

C’era un grande gioco tridimensionale, bisogna ricomporre un cubo in legno diviso in tante forme strane, come un grande tetris. Un bambino ci sta provando da un bel po’. La madre lo incoraggia. È domenica mattina, siamo sul viale Andrássy, il grande boulevard di Budapest in una domenica di festa, tutto il viale è chiuso al traffico, lo attraversano passanti festosi, si fermano ai vari stand, pieni di giochi e attività, è la settimana europea della mobilità sostenibile e Budapest la festeggia così; davanti alla Basilica, poi, ci sono I dolci giorni il festival del cioccolato, ad Oktogon concerti jazz e musical, a Piazza degli Eroi è, invece, la domenica del Nezmeti Vagta, una sorta di palio di Siena a tra le varie contee magiare di dentro e di fuori confine.

Arriva uno dei volontari dello stand e aiuta il bambino. Il volontario ha la pelle bianca, il bambino è mulatto, la madre ha il fazzoletto sul capo. È una scena ancora insolita qui a Budapest, dove gli stranieri sono relativamente pochi rispetto alle altre grandi capitali europee a partire da Vienna e una famiglia così desta tenerezza.E probabilmente resteranno pochi.

Lungo il viale vi sono i grandi cartelloni con la bandiera nazionale e la scritta Non rischiare il futuro dell’Ungheria – votiamo NO al referendum consultivo che si terrà il prossimo 2 Ottobre sulla quota dei rifugiati (1295 persone).

Sul tavolino dello stand qualcuno ha invece appoggiato uno degli opuscoli blu di 20 pagine che il governo ha distribuito dal titolo: “Mandiamo un messaggio a Bruxelles perché anche loro capiscano!”. In fondo il referendum e la situazione migranti è tutta qui:l’eterna contrapposizione contro l’Ue di molti suoi paesi membri, e poi quel “non ci capiscono, non capiscono noi ungheresi, con la nostra storia, cultura e lingua difficili da capire che nessuno ha forse mai cercato di capire..” e poi c’è la paura: la campagna governativa parla di “grandi migrazioni”, “città di migranti” insediate forzatamente in Ungheria, dell’immigrazione illegale che aumenta il pericolo terrorismo, cultura e tradizioni in pericolo, “no go zones” di migranti già sparse per l’Europa in quei paesi che 20 anni fa non hanno saputo fermare l’immigrazione. E Orbán si pone come colui che comprende il momento epocale, difende il suo popolo e i confini dell’Europa.

Una campagna martellante, con la ormai famosa scritta “lo sapevi?” e poi un’affermazione più o meno arbitraria come “dall’inizio della crisi dei profughi sono morte più di 300 persone in attentati terroristici”.

Sulla carta questa era una mera campagna informativa fatta di cartelloni ad ogni incrocio stradale (ne ho contati una quarantina lungo la strada aeroporto-capolinea della metro) e spot sulle TV pubbliche, giochi olimpici compresi, con le ire dei telespettatori che volevano solo gustarsi le gare in pace.

In realtà Orbàn ha ben pochi elettori da convincere, in un paese che da due tornate elettorali regala al suo partito, Fidesz, più dei 2/3 dei seggi in parlamento, e che in fondo ha dimostrato poca solidarietà verso i profughi, in ogni strato sociale, con tutti i sondaggi che han sempre mostrato una schiacciante vittoria dei no. Mi confidava Jenő, scrittore e sceneggiatore: “Non ho molta simpatia per il governo Orbàn, lungi da me, ma questa sua posizione sui migranti, la trovo fantastica, giù il cappello, ma cosa vogliono questi da noi..”.

Perché allora questo referendum? “Perché ci crede, per passare alla storia”, mi dice Dora, 35 anni, appena licenziata dopo un impiego nell’immobiliare, “Orban ha già scritto la storia dell’Ungheria, ora quella dell’Europa”.

O per nascondere i veri problemi del paese: sanità, stipendi irrisori, emigrazione verso il centro dell’Europa. O perché è un leader capace e furbo e un vero populista e sa che su questa questione il popolo ungherese lo seguirà sempre. Altri parlano di una prova di forza per andare ai tavoli europei con la forza di un leader e riscrivere il Trattato di Lisbona, o per indire elezioni anticipate al 2017 (scadenza naturale nel 2018), prima che la debole opposizione possa riorganizzarsi.

Per ora l’opposizione semplicemente quasi si dimentica di fare opposizione, il segretario del partito socialista ungherese (MSZP) ha dichiarato con un po’ di imbarazzo che se costretto voterebbe anche lui NO. Come Orbàn. La loro posizione ufficiale è quella che il referendum è inutile ed uno spreco di soldi, perché tanto non può opporsi alle decisioni UE e quindi è indicata l’astensione. Astenersi è anche l’invito della Coalizione Democratica (DK) l’altro partito di opposizione. Lo slogan è bello: “Resta in Europa, resta a casa!”. E sotto i manifesti un po’ di spiegazioni di come astenersi sia un tuo diritto.

A dispetto delle premesse la vigilia elettorale è comunque carica di tensione dato che il raggiungimento del quorum e quindi la vittoria di di Orbàn è ancora incerto. Sono comparsi in TV in tutta fretta spot del tipo “Amo l’Ungheria e vado a votare”. Non è mancato neanche un ordigno artigianale fatto esplodere sabato 24 sul trafficatissimo Terez körút nelle ore della movida, che ha ferito gravemente due poliziotti, ascritto come gesto isolato senza alcun legame politico. Tende e materassini sono poi ricomparsi nel sottopassaggio della stazione Orientale di Budapest, come un anno fa, al culmine della crisi dei profughi. Ma questa volta erano solo le riprese di un film.