Barchini da pesca contro super caccia militari. Nella Sardegna occidentale si combatte per i diritti
di Maddalena Brunetti, da Cagliari
Martedì mattina, 4 ottobre 2016, i pescatori del Golfo di Oristano hanno schierato le loro imbarcazioni in mare, per bloccare l’esercitazione bellica prevista al poligono di Capo Frasca. Protestano perché per otto mesi l’anno, da ottobre a maggio, non possono solcare le onde riservate ai giochi di guerra.
Danneggiati e mai risarciti: da sempre il ministero della Difesa li ha esclusi dagli indennizzi. “Finora ci siamo arrangiati. Ma adesso tra riduzione del pescato, costi di carburante e condizioni meteo ostili, non ci arriviamo più”, spiega Franco Zucca, presidente del Consorzio di cooperative di pesca Marceddì.
Così in oltre 250 hanno piazzato le barche lungo il perimetro della zona interdetta, hanno cercato di sfondare l’invisibile linea rossa, trattenuti dai mezzi della Guardia di finanza che ha identificato i manifestanti. Intanto altri 350 pescatori hanno sfilato fino ai cancelli della struttura militare accompagnati dai sindaci della zona, con fascia tricolore.
Nonostante l’alto numero di civili in acqua, i caccia si sono comunque alzati in volo per fare fuoco come previsto. Ma i barchini non si sono mossi e i piloti hanno fatto dietrofront: mancavano le condizioni di sicurezza. E c’è un altro risultato: mercoledì mattina una loro delegazione è stata ascoltata dalla quarta commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito che proprio in questi giorni sta visitando poligoni, caserme e depositi militari isolani.
“Vogliamo che la campana di sicurezza venga ridotta e che vangano riconosciuti i risarcimenti per i lavoratori danneggiati”, spiega Michele Schirru, vicesindaco di Arbus (comune nel cui territorio ricade il poligono di Capo Frasca). “Gli accordi li abbiamo chiusi lo scorso marzo, li hanno firmati tutte le parti in causa tranne il ministero della Difesa che da allora non si è fatto più sentire. Abbiamo sollecitato un incontro anche attraverso la Regione ma non c’è stata alcuna risposta”, conclude Schirru che ha partecipato al tavolo tecnico per ridefinire i termini di utilizzo della struttura.
Ma quella di Capo Frasca non è l’unica esercitazione in corso: 200 chilometri più a sud, a Capo Teulada nel Sulcis, ha preso il via un imponente addestramento interforze: l’operazione a mare internazionale Emerald Move. Anche in questo caso c’è stato qualche intoppo: la scorsa notte una ventina di migranti ha tentato la traversata dall’Algeria sbarcando sulle spiagge circondate dal filo spinato.
Loro forse non si sono nemmeno accorti di aver navigato a poca distanza dalle colossali portaerei e navi da guerra che dalla fine di settembre erano ormeggiate al porto civile di Cagliari. Ferme in città per qualche giorno – accanto a quelle da crociera e commerciali – prima di raggiungere i poligoni.
Sullo sfondo c’è anche l’atteggiamento ambiguo della Regione Sardegna: da sola l’isola ospita oltre il 60 per cento di tutto il demanio militare italiano. Il presidente Francesco Pigliaru ha sempre dichiarato di voler ridurre le servitù militari ma i suoi uffici non hanno poi fatto molto in questa direzione.
Uno schema che si è ripetuto per Santo Stefano, l’isola bunker dell’arcipelago di La Maddalena, nel cuore di un parco naturale iper vincolato. Qui la Difesa, che in Sardegna non è abituata a chiedere permesso, ha intenzione di realizzare un molo per l’attracco della portaerei Cavour, l’ammiraglia della flotta italiana.
All’indomani della diffusione della notizia, la Regione si è detta sorpresa. Ma poi si è scoperto che il progetto era sulle scrivanie regionali da più di un anno. “Ci opporremo” era stata la pezza dei giorni successivi. Ma di recente gli uffici hanno concesso un indolore nulla osta ai lavori.