Frammenti di Kurdistan
di Linda Dorigo
La tradizione vuole che d’inverno si raccolga la neve e la si conservi per l’ayran. Sul monte Sinjar però la neve non è sinonimo di godimento culinario.
Dall’estate del 2014 gli yazidi sono scappati dalla ferocia dell’Isis rifugiandosi sulla montagna sacra. La zona è stata liberata alla fine del 2015, ma migliaia di profughi vivono ancora in tende senza possibilità di tornare nei villaggi dove tutto è andato distrutto.
A oltre mille metri di altitudine, i partiti politici hanno creato nuovi posti di lavoro. Hadi insegna inglese nella scuola elementare costruita dalla Fondazione Barzani nel 2014.
Beshar, il fratello, è un peshmerga del Kdp, appartiene cioè a quella fazione politica a cui non si è perdonata la fuga quando i miliziani dell’Isis hanno attaccato il Sinjar. Allora la salvezza e i primi aiuti arrivarono dal Pkk, e così Beshar si arruolò con loro. Ma da quando il Kdp foraggia le truppe con armi e cibo, il ragazzo combatte per loro senza sensi di colpa.
Beshar come Hadi hanno una famiglia da mantenere, e anche se la politica fornisce loro un’occupazione, non le garantiscono un sincero sostegno ideologico.
Quassù c’è poco di cui vivere, la terra è svestita dal vento. Da qualche settimana è arrivata anche l’elettricità e c’è persino qualcuno con la televisione. Le famiglie di Hadi e Beshar si raccolgono intorno alla stufa nella casa di mattoni del fratello più grande. Lui si è costruito una dimora vera, uno dei pochi.
Nella precarietà il tempo scorre lento e si pensa troppo. La nonna avvolta nello scialle bianco asseconda il nipote che inveisce contro gli occidentali che non aiutano il suo popolo. Le sue parole stridono con la serenità di un vecchio negoziante che stringe in braccio i registri di cassa e un libro di inglese. La bottega – tre pareti di plastica e qualche merendina – è il suo rimedio alla solitudine.