Le proteste di massa bloccano il disegno di legge sull’aborto in Polonia: un racconto per dati e illustrazioni
di Silvia Boccardi, illustrazioni di Martina Antoniotti, da KALEDATA
Lunedì 3 ottobre 2016 passerà alla storia come ‘Black Monday’. In una giornata grigia e piovosa, migliaia di donne sono scese per le strade di Varsavia, sventolando bandiere nere e alzando migliaia di ombrelli scuri in protesta contro una proposta di legge per il divieto di aborto.
Vestite di nero, più di 100mila donne hanno attraversato la capitale e altre cittadine della Polonia. Ispirandosi a una manifestazione del 1975 in Islanda, hanno scioperato in massa, bloccando l’economia e impedendo l’apertura di ristoranti, negozi, uffici e scuole, per difendere una legge già di per sé tra le più limitanti d’Europa.
In Polonia, dove l’87% della popolazione si identifica come cattolica, la legge del 1993 prevede che l’aborto sia illegale tranne in casi di stupro, incesto, pericolo per la vita della madre o danni irreparabili al feto.
La petizione, firmata da 450mila persone, proponeva un divieto assoluto, condannando al carcere fino a cinque anni sia le donne che lo richiedono sia i medici che lo praticano, indifferentemente dalle circostanze dell’aborto. Già altre volte – nel giugno 2011, nel settembre 2015 e nell’aprile 2016 – le associazioni pro-life e la destra polacca si erano unite per proporre di vietare in assoluto l’aborto nel Paese.
Nonostante l’11 % della popolazione fosse a favore della proposta imminente, secondo un sondaggio di Newsweek Polska, il 74 % dei polacchi sosterrebbe il mantenimento del “compromesso” esistente, mentre più di un terzo affermerebbe che l’aborto dovrebbe diventare il più accessibile possibile. La società di sondaggi Ipsos aveva precedentemente rilevato che il 50% dei polacchi avrebbe sostenuto lo sciopero, con il 15%, più di 6 milioni di persone, che avrebbe voluto prendere parte.
Il più grande calo nei tassi di aborto degli ultimi 25 anni si è verificato in Europa Orientale.
Due sono le correnti principali che tentano di spiegare il fenomeno. C’è chi, come Gilda Sedgh, capo ricercatrice presso il Guttmacher Institute, crede che il calo abbia a che vedere con il fatto che, prima, molti in Est Europa dovevano fare affidamento sull’aborto per evitare le nascite non pianificate in quanto l’accesso alla contraccezione sotto il regime sovietico era decisamente limitato.
E c’è chi vede le ragioni del crollo del tasso di gravidanze interrotte nelle attuali leggi estremamente restrittive di alcuni Paesi ex URSS. In ogni caso, gli aborti registrati in Polonia annualmente diminuirono da circa 130.000 ogni anno a metà degli anni 1980 a circa 160 nel 2000.
Oggi, secondo le cifre ufficiali, gli aborti legali che vengono effettuati ogni anno in Polonia sono circa un migliaio. Tuttavia, si stima che se vengono considerati anche quelli effettuati illegalmente o con pillole abortive comprate online, il numero effettivo di aborti sia considerevolmente superiore, fino a 150mila.
Il Guttmacher Institute, un’organizzazione no-profit a promozione della salute sessuale e riproduttiva, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità offrono un’analisi approfondita sui numeri e i casi di aborto in tutto il mondo.
I risultati sono stati pubblicati sul Lancet e mostrano che in media, ogni anno tra il 2010 e il 2014, sono stati effettuati 56,3 milioni di aborti, con un incremento di 5,9 milioni dal periodo 1990-94 dovuto all’aumento della popolazione mondiale. In generale si è raggiunto un basso storico per quanto riguarda le gravidanze interrotte. Purtroppo però questo trend riguarda principalmente il developing world: l’88% degli aborti infatti avviene nei Paesi del Terzo Mondo.
I numeri dell’Europa, secondo l’Eurostat, seguono questo calo ma con molte differenze tra Stato e Stato. Ad esempio, i casi di aborto in Polonia, che conta oltre 38 milioni di abitanti, rappresentano un centesimo dei casi dei singoli Paesi di Lettonia, Estonia e Lituania che, insieme, contano meno di un sesto della popolazione polacca.
Le differenze tra i Paesi europei si riflettono anche nelle diverse legislazioni. La maggior parte infatti consente l’aborto su richiesta della donna nelle prime settimane di gravidanza e, in circostanze specifiche, anche in periodi successivi.
Alcuni paesi impongono un periodo di attesa di un certo numero di giorni a seguito della consulenza medica, altri invece richiedono la consultazione con il personale medico prima che un aborto possa essere eseguito. Molti paesi richiedono che il personale medico certifichi che l’aborto venga eseguito per una ragione consentita dalla legge.
Il paese più restrittivo finora, l’Irlanda, consente l’aborto solo quando vi è un rischio reale e sostanziale per la vita della donna tanto che la Commissione per i Diritti Umani dell’ONU ha chiesto al governo irlandese di riformare la legislazione in quanto violerebbe i diritti umani delle donne.
Il PiS (Partito Legge e Giustizia), conservatore, nazionalista, pro-cattolico, euroscettico e anti-immigrati, ha vinto il controllo del parlamento della Polonia lo scorso anno. Il partito controlla anche la presidenza, ed è stato ampiamente criticato in passato dai sostenitori di una legge più ampia sull’aborto per la sua politica.
La petizione era infatti promossa dal PiS, che però due giorni dopo, si è trovato costretto a bocciare la sua stessa proposta arrivata in Parlamento. La Commissione per la Giustizia e per i Diritti Umani che passava in rassegna la normativa ha infatti raccomandato al Parlamento di respingere il disegno di legge in seguito alle proteste di massa.
Il 6 ottobre, il quotidiano Gazeta Wyborcza titolava ‘Le donne polacche hanno vinto sul PiS’.