di Irene Merli
Cile, 1948. Clima da Guerra Fredda. In Parlamento, il senatore comunista Pablo Neruda insulta i colleghi avversari e accusa il nuovo presidente Videla di essere un traditore al servizio dell’America.
Così il poeta, già famoso nel mondo, viene destituito e da un giorno all’altro diventa un ricercato. Il Partito Comunista in quell’anno è messo fuori legge, 26mila cileni vengono privati del voto e i lavoratori in sciopero se la devono vedere con l’esercito. Ma contro il nemico pubblico numero uno il capo del governo schiera un giovane prefetto della polizia, Òscar Peluchonneau, che avrà’ un unico compito: arrestare il poeta ribelle.
Scappare? Costituirsi? Cosa può giovare maggiormente alla causa? Neruda è pieno di dubbi ma il Partito lo convince a entrare in clandestinità e iniziano i mesi della celebre fuga con la seconda moglie, una pittrice, che dopo mille peripezie lo condurrà in Argentina e quindi in Europa, al sicuro.
Il film a questo punto si sviluppa come una battaglia intellettuale, una partita a scacchi, una gara a nascondino in cui Neruda sfida Peluchonneau, gli lascia indizi per rendere più pericoloso il loro rapporto tra gatto e topo. Il prefetto – meschino! – non conosce il ricercato, che finisce per sfuggirgli sempre per pochi minuti o per passargli davanti travestito, in un gioco senza fine.
In questa vicenda del poeta perseguitato e del suo avversario implacabile, Neruda intravede la possibilità di diventare un simbolo di libertà, oltre che una leggenda della letteratura. L’eco della sua persesecuzione arriva infatti anche in Europa e partono gli appelli degli intellettuali in sua difesa. E il poeta, tra uno spostamento e l’altro lungo il Paese, trova l’ispirazione per scrivere Il grandioso Canto general…
Pablo Larraìn con “Neruda” torna a occuparsi di storia cilena e affronta un eroe nazionale, calato in un preciso momento storico, con quella che lui stesso definisce un’antibiografia, precisa nei fatti ma piena di geniali sovrapposizioni immaginarie.
E se Luis Gnecco, ingrassato di 25 anni, è bravissimo a incarnare nelle sue grandezze e nelle piccole miserie il mostro sacro della poesia cilena, Garcia Bernal dà all’ispettore (personaggio realmente esistito) un inaspettato lato comico e passo dopo passo, una carica umana sempre più intensa.
La sua ricorsa per un posto nella storia è la lotta di un personaggio secondario per ottenere una parte da protagonista, che accompagna gli spettatori sino a un finale toccante, sprofondato nella neve.
“Neruda” non ha la rabbia, l’energia e la durezza senza sconti delle precedenti opere di Larraìn (“Tony Manero”, “Post Mortem”, Il club”). Ma ha il fascino di un racconto poetico, la grazia prepotente di una favola sospesa tra storia e invenzioni letterarie, la raffinatezza di un lavoro di assoluta originalità, difficile da definirsi nel genere perché gioca con tutti, in modo imprevedibile come un caleidoscopio. Non solo.
L’uso del colore, che vira dal violaceo ai toni dell’ocra, dà al film l’impressione di un sogno.
Diavolo di un Larraìn!