I polifemOLABS sono una serie di workshop tenuti da fotografi professionisti, il cui scopo è quello di fornire strumenti mirati alla preparazione, alla realizzazione e alla diffusione di un progetto fotografico. Brevi interviste vogliono presentare i docenti e i loro corsi (alcuni con iscrizioni già chiuse), ma nel loro complesso sono anche un modo per fare il punto sullo stato dell’arte della fotografia professionale. Ve le proponiamo integralmente così come le ha pubblicate l’associazione culturale Polifemo.
di Leonardo Brogioni
Il terzo di questi laboratori è stato dedicato alla fase progettuale dello storytelling ed è stato tenuto da Davide Pinardi: anni di docenza e molti libri pubblicati, tra romanzi e saggi, ne fanno uno dei massimi esperti italiani di tecniche di narrazione. Il suo workshop PROGETTARE LA NARRAZIONE ha analizzato il percorso seguendo il quale l’idea parte, si sviluppa e si formalizza: un percorso che spesso è faticoso. Di seguito una breve intervista per conoscere meglio il docente e inquadrare le tematiche del workshop.
LB – Storytelling pare la parola d’ordine per chi si occupa di comunicazione, tanto che il termine è pure oggetto di ironie da saturazione d’uso: però è inevitabile usare la narrazione anche in ambito fotografico dove – fino a poco tempo fa – si diceva “una sola foto vale mille parole”, perché?
DP – Chi controlla il lessico controlla il mondo (o quasi). Ovvero, per dirla in altro modo, negli ultimi anni è accaduto spesso che qualcuno mi chiedesse che cosa trattassero i miei corsi al Politecnico e altrove. Se rispondevo “tecniche di narrazione” l’espressione dell’interlocutore si faceva perplessa; se invece dicevo invece “storytelling” quasi sempre il suo viso si illuminava. Che cosa ci si può fare? Al momento è ancora così. Le “bolle linguistiche” ci imprigionano tutti e durano più di quelle di sapone, pur non essendo affatto eterne. Prima o poi la parola inglese si sgonfierà di gran parte della sua attuale valenza mistica anglosassone (sta già accadendo, punzecchiata dalla prime ironie) e forse finalmente potremo utilizzare espressioni meno gregarie o forestiere. Non voglio farla lunga, ma la dipendenza culturale da mitologie “atlantiche” ci rende tutti, in questo come in tanti altri campi, un po’ più scemi: abbiamo perso la capacità di costruire neologismi e ci fa sentire moderni se utilizziamo termini esotici banalizzandoli o magari fraintendendoli (oltretutto il termine effettivo utilizzato in ambiti accademici in inglese non è storytelling ma i pubblicitari del Belpaese non l’hanno ancora ben capito) mentre invece ci fa sentire vecchi e polverosi, coperti di ragnatele, se usiamo termini nostrani e tradizionali. Insomma, dobbiamo avere un po’ di pazienza e probabilmente la parola storytelling passerà di moda. Ma fino quando non accadrà con che parola sostituirla? Al momento non è chiaro. Dunque per il momento utilizziamola accordandoci su questo significato preciso: tecnica per rendere gli universi che vogliamo descrivere più significativi, più solidi, più interessanti. Il che è particolarmente importante nell’uso delle immagini: dove sta la differenza tra una fotografia piena di significati e una assolutamente banale? A mio parere nella sua capacità di raccontare un mondo. Insomma, nella sua capacità di narrare.
LB – Forse sei l’unico tra i nostri docenti a non usare attualmente la fotocamera, o sbaglio? Perché un fotografo dovrebbe frequentare il tuo workshop?
DP – Anch’io ho peccato, lo ammetto! Fu molto tempo fa. Ero un ragazzo. Comprai una Topcon reflex e con quella mi misi a fare fotografie che andai a proporre da qualcuno alla Ricordi. Ne fecero molte copertine di 45 giri e di long playing. In una spacciai come una coppia di innamorati controluce un effetto notte tutto stelline di mia madre e una sua zia su un lungomare. Che tempi. Allora era tutto più facile. All’università, per mantenermi, con un amico creammo uno studio per fotografare capannoni in giro per l’Italia. Poi d’improvviso nacque l’Iva – intesa come tassa, allora era più famosa una Iva cantante – e il mio amico, che ne capiva, disse che dovevamo chiudere e così facemmo un 31 dicembre. Forse credeva di essere alla vigilia di una rivoluzione e che dovevamo darci alla clandestinità fiscale. In ogni caso l’esperienza di allora mi fa ricordare quanto sia importante che una fotografo non si limiti a cercare di riprodurre il reale. Il reale che noi rappresentiamo è sempre frutto di una nostra costruzione mentale, di una nostra edificazione di senso di cui spesso però non siamo pienamente consapevoli. Nel mio seminario si esploreranno perciò le regole, le tecniche e le soluzioni affinché una fotografia sia il pieno e denso racconto di un universo di significati quale noi intendiamo trasmettere. Questo attraverso il cosciente controllo degli impliciti, delle inferenze, dei fuori-cornice, dei conflitti, dell’auree narrative. Insomma, un seminario che pone problemi e, fortunatamente, ipotizza soluzioni.
DAVIDE PINARDI
Professore di Scrittura Narrativa all’Accademia di Brera e di Storytelling e Tecniche di Narrazione al Politecnico di Milano, è autore di romanzi, di libri per ragazzi, di sceneggiature per la televisione e per il teatro, di saggi che spaziano dalla narratologia alla politica. É uno dei massimi esperti italiani di tecniche di narrazione.
Da ottobre a dicembre degli incontri con professionisti del settore forniranno gli strumenti per preparare, realizzare e diffondere un progetto fotografico.
Preparazione – Iscrizioni chiuse
Realizzazione
Fotografia di Reportage 29+30/10/2016 con Alessandro Grassani
Fotografia Documentaria 12+13/11/2016 con Mirko Cecchi e Claudia Bellante
Fotografia Editoriale 19+20/11/2016 con Andrea Frazzetta
Fotografia di Architettura e paesaggio 3+4/12/2016 con Marco Dapino
Diffusione
Portfolio Lab 16/10/2016 con Raffaela Lepanto
Marketing Workflow 5/11/2016 con Raffaela Lepanto