Irriconoscibile ai non iniziati, inaccessibile ai bianchi, intreccio inestricabile di illegalità e sopravvivenza. Una Connection House è questo: una zona franca per gli immigrati africani che iniziano una nuova vita nel sud Italia, quasi identiche a quelle che ci sono in molti dei loro Paesi d’origine.
di Veronica Fernandes
Nella webserie cui dà il titolo capovolge il suo ruolo: si trasforma nel luogo in cui Lorenzo – figlio di papà mai uscito da Posillipo – scopre se stesso, scopre il mondo e scopre anche cos’è una vita consapevole. A fare da cornice a questa webserie di formazione, Castel Volturno.
La genesi
L’idea è di Gianluca Castaldi – unico bianco che ha libero accesso alle Connection House – e di Vincenzo Cavallo, rispettivamente sceneggiatore e regista. Vogliono raccontare Castel Volturno, liberarla dalle etichette cui l’hanno incatenata la stampa e la paura del diverso: la più grande banlieue d’Europa, il ghetto d’Italia, terra di nessuno. Vogliono parlare di persone, non di una massa informe – “gli immigrati”. Vogliono mostrarne la vita quotidiana, la tenacia della sopravvivenza, l’ironia e la capacità di crescere anche quando ti spingono ai margini. Ecco perchè, tra i mille linguaggi possibili, scelgono quello della comicità.
La trama
Il protagonista di Connection House è Lorenzo: poco più che 30enne, decide di trasferirsi a Castel Volturno quando l’azienda del padre fallisce. Meta: la casa che la nonna gli ha lasciato in eredità. La trova occupata da tre africani e dalla badessa, una splendida Gea Martire che li coordina nei traffici illegali. Le stanze della nonna sono per loro casa e bottega, al piano di sopra un bordello con cucina e piano bar, in sala da pranzo tutto il resto: gestiscono affitto e utenze degli appartamenti occupati (con una precisione da studio legale), smistano i lavoratori da mandare ai caporali, preparano le mazzette, cercano disoccupati da fare sposare alle africane clandestine. Money for Papers, un grande classico. A poco a poco – tra gaffe, lavoro clandestini e innamoramento – Lorenzo conquista il suo ruolo. “Non volevamo usare lo stile Gomorra – spiega Stefano Scognamiglio, che interpreta Lorenzo – volevamo mostrare le sfaccettature di un mondo, la parte divertente che nasce dalle sue storture, dalle sue ferite, di cui siamo ben consapevoli”.
Le ferite di Castel Volturno
La realtà c’è, tutta. Solo raccontata con il sorriso: il lavoro nero, il debito di chi arriva in Italia, la prostituzione, le case occupate in un Paese svuotato, lo Stato ottusamente assente. 20 mila africani, nella memoria il ricordo della strage di camorra del 2008, nel futuro solo quello che sanno costruirsi. “Secondo me, se fosse stato vivo, Eduardo avrebbe fatto un film su di loro – spiega Vincenzo Cavallo, regista con Antonio Manco – questa è l’Italia di oggi, una Connection House è come i vecchi condomini della periferia di Napoli”.
Il cast e la troupe
La scelta dei registi è stata precisa: a mettere in scena Castel Volturno devono essere gli abitanti. E pagati. Gli attori sono tutti alla loro prima assoluta, alcuni di seconda generazione – come Joy, la protagonista femminile: si chiama in realtà Lola Bello, ha studiato danza, è iscritta a Lingue a Napoli e lavora come modella – altri arrivati in Italia anni fa. Stefano Scognamiglio, attore professionista alla sua prima prova comica, si è sdoppiato: ha fatto il casting e poi anche il coach. Idem per la troupe e i tecnici, tutti giovani della zona. Tutti pagati. “È un modo per dare vita a questo territorio – continua Vincenzo Cavallo – io sogno di trovare altri fondi, abbiamo idee per continuare la serie”. Darebbero lavoro, toglierebbero uomini al tritacarne della clandestinità. Ma i fondi non li hanno ancora trovati, l’attenzione di chi produce fiction nemmeno.
Il Virgilio di Castel Volturno
Per avere l’intuizione di mostrare la vita di una Connection House ci voleva qualcuno che la conoscesse a fondo. E quel qualcuno è Gianluca Castaldi. Milanese, ex prete, ideatore dei Kalifoo Ground, rapper, dipendente del settore immigrazione della Caritas locale, nella fiction ha raccontato quello che nessun altro poteva sapere o vedere. Lui nelle Connection House entra perchè i normali avventori lo conoscono e lo stimano, perchè condividono la quotidianità, perché lo vedono moltiplicare progetti in questa zona, perché non molla mai. Lui, lo spaesamento di Lorenzo, lo conosce bene: “Quando sono arrivato qui, prima dell’italiano si parlavano twi o bambara, non capivo il luogo e così mi sono avventurato, ho lasciato fuori i pregiudizi e ho iniziato a capirlo – spiega – per raccontarlo ho scelto l’ironia perchè è molto presente, questa comunità ha una sua propria ironia, che ho provato a rendere con la sceneggiatura”.
Il futuro
Connection House è stata premiata al Roma Web Fest, ora è in concorso al WebFestBerlin. Mentre la serie viaggia sulla rete, gratuitamente, i suoi ideatori (tutti napoletani) se ne sono andati, seguendo il lavoro che qui non c’è: Vincenzo Cavallo in Kenya, Antonio Manco in Argentina, Stefano Scognamiglio in altri set. Gianluca Castaldi no, lui resta. Se trovano i fondi che cercano, o un produttore, sono pronti a tornare: “E non ce ne andiamo – ride Vincenzo Cavallo – facciamo una serie lunga come Un Posto al Sole, ma qui a Castel Volturno”.