Arcipelago Jihad

Lo Stato islamico e il ritorno di al-Qaeda

di Christian Elia

Osama bin Laden, Ayman al-Zawahiri, Musab al-Zarqawi e Abu Bakr al-Baghdadi. Quattro nomi che, più o meno, ciascuno riesce a localizzare nella propria geografia emotiva. Quattro storie che, sconnesse dalla Storia, hanno meno da dire in quel che è sempre più necessario contestualizzare.

Giuliano Battiston, giornalista e ricercatore, nel suo Arcipelago Jihad – Lo Stato islamico e il ritorno di al-Qaeda, mette ordine in questa nuova cosmogonia del terrore, in questo pantheon allo stesso tempo spirituale e animale, che unisce sangue e fede. Un libro, edito da Edizioni dell’asino, che riesce a ricostruire – con una mirabile pazienza – una galassia frammentata di indizi.

Perché è questo il lavoro che manca: l’ordine. I quattro cavalieri dell’apocalisse, vera o presunta, i nemici ideali di un Occidente orfano del comunismo, sono solo quattro snodi di una storia lunga e avvinghiata alle rapide del contemporaneo, capace di mettere in connessione il Bataclan e le montagne dell’Hindu Kush, Londra e le carceri dei regimi arabi, l’invasione dell’Iraq e l’assalto sovietico all’Afghanistan.

Una ricerca accurata di fonti e di voci interessanti, quella di Battiston, che riesce a tirare fuori le connessioni che spesso sfuggono a chi commenta senza conoscere, giudica senza studiare. Non c’è Daesh senza l’invasione dell’Iraq del 2003, non c’è al-Qaeda senza quella dell’Afghansitan degli anni Ottanta. E allora le torri gemelle, sono un inizio o sono una fine?

Un mondo, quello jihadista, dove spesso “le questioni di appartenenza e affiliazione, fondamentali per le leadership, sono marginali per i militanti che operano sul terreno, nelle province perferiche o nel cuore dell’Europa. Ma in alto, ai vertici, la contesa continua”, racconta Battiston. E ha ragione, cogliendo il primo di una serie di nodi chiave.

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Al-Qaeda e Daesh sono due prodotti dello stesso universo, ma divergono in mille aspetti, confliggendo e lottando per la supremazia. Se non capiamo questo, se non impariamo a guardare a questo come ad un universo con tutte le sue sfumature, similitudini e differenze, non ne verremo mai a capo. A partire dall’idea che lo stesso salafismo non è un monolite, ma un mondo.

Battiston, paziente, tende dei fili, tra web e libri, tra canali di comunicazione e social network, messaggi audio e video. Le divisioni, seppur riferite tutte a un mondo diverso, sono evidenti. Almeno quanto i riferimenti al reale che ne nutrono la retorica.

Ed è questo un altro punto importante, per capire. Quali sono stati i motivi che, dal fallimento del panarabismo e degli stati nazionali (sempre e comunque format politici d’importazione), hanno contribuito alla crescita di una galassia di armati irriducibili?

La semplificazione è un lusso che non possiamo permetterci. Il bianco e il nero, è proprio questo il linguaggio che ha scelto chi dipingiamo come il male assoluto. Allora non si capisce perché si insegue lo stesso metodo sui media mainstream.

Battiston, con le varie testate con cui collabora, se ne occupa da anni, e questo libro è una razionalizzazione di una serie di tracce, indizi, che non puntano a risolvere il rebus, ma a indicarne gli snodi. E non è poco, in un mondo dell’informazione che non accede alle fonti primarie o le ignora.

Il regime di Saddam, l’invasione dell’Afghanistan, prima e poi nel 2001, la Siria e la Libia. Un mosaico complesso che in molti tentano di confinare a un ‘noi contro loro’, o a una battaglia tra ‘laicismo e integralismo’. Sarebbe facile, ma non lo è. Ed è tempo di capirlo.