Bulgaria, l’effetto Radev

Se sul piano internazionale l’elezione del nuovo presidente Rumen Radev non causerà grossi cambiamenti, nella politica interna le conseguenze sono state immediate e pesanti

di Francesco Martino, tratto da Osservatorio Balcani Caucaso

La Bulgaria è in procinto di abbandonare il blocco euro-atlantico per saltare sul carro russo, avvertito come sempre più assertivo in Europa orientale? Questa la domanda accorata che molti media internazionali hanno posto all’indomani del trionfo elettorale – lo scorso 13 novembre – di Rumen Radev, candidato appoggiato dall’opposizione socialista e nuovo presidente del paese balcanico.

Radev, 53 anni, una vita spesa all’interno dell’aeronautica militare bulgara, di cui è stato pilota di punta e comandante in capo fino all’estate scorsa, è stato indicato da più parti come “candidato filo-russo”.

La sua larga vittoria su Tsetska Tsacheva, il candidato del governo di centro-destra espresso da GERB (Cittadini per uno sviluppo europeo della Bulgaria), il movimento del premier Boyko Borisov, è stata subito accostata a quella in Moldavia di Igor Dodon (sostenitore dell’abbandono degli accordi di partnership con l’UE e dell’ingresso di Chișinău nell’Unione euroasiatica) per parlare di “schiaffo all’Occidente” e “domenica di festa per Putin”.

Al di là dei titoli roboanti, però, la vittoria di Radev non sembra presagire alcuno spostamento significativo della Bulgaria sull’asse geopolitico, che vede nella membership UE e nell’Alleanza atlantica la stella polare seguita da Sofia dal disfacimento di Unione sovietica e Patto di Varsavia.

A parte la tradizionale vicinanza dei socialisti bulgari a Mosca e di alcune dichiarazioni ad effetto durante la campagna elettorale (“La Crimea de jure è parte dell’Ucraina, ma de facto lì sventola la bandiera della Federazione russa”), Radev – che come militare NATO vanta anche un periodo di studi all’Air War College di Montgomery, negli Stati Uniti – non sembra allontanarsi dalla tradizionale linea di delicato equilibrismo che la Bulgaria ha seguito negli anni passati tra Occidente e Russia.

Una linea, per inciso, seguita anche dall’esecutivo di Borisov, al governo dal 2014. Nel giugno scorso, ad esempio, la Bulgaria ha espresso parere negativo alla proposta romena di creare una flotta NATO congiunta nel Mar Nero per opporsi all’influenza russa nell’area. Alla vigilia delle elezioni, poi, lo stesso Borisov ha criticato pubblicamente il presidente uscente Rosen Plevneliev – eletto nel 2011 grazie ai voti di GERB – per il suo atteggiamento da “falco” che “ha peggiorato le nostre relazioni con la Russia”.

Neppure delicate questioni economiche ed energetiche (nonostante i tentativi di smarcamento, la Bulgaria resta oggi largamente dipendente dalle forniture di gas russo) le posizioni del nuovo presidente – che in Bulgaria, seppur eletto direttamente, non ha un ruolo esecutivo, ma di rappresentanza e controllo – non si differenziano molto da quelle espresse da GERB, che anche recentemente ha strizzato l’occhio a progetti legati ad interessi di Mosca, come il gasdotto “South Stream” e la costruzione di una centrale atomica a tecnologia russa a Belene, sul Danubio.

Se la vittoria di Radev non avrà ricadute immediate sul posizionamento internazionale della Bulgaria, le conseguenze sul piano interno sono state però pesanti ed immediate. Per scelta esplicita di Borisov, il risultato negativo del proprio candidato ha portato alle immediate dimissioni del governo, che aprono un periodo di instabilità lungo e complesso.

Supportato da sondaggi ampiamente favorevoli fino ad un mese dalle presidenziali, Borisov ha deciso di supportare la candidatura della Tsacheva – presidente del parlamento, ma considerata una personalità grigia e succube del premier – trasformando le consultazioni in un vero e proprio voto di fiducia al suo esecutivo, da cui però è uscito sonoramente sconfitto.

Una sconfitta che arriva al culmine di un periodo di generale affaticamento per il governo, sfilacciato da tensioni interne alla maggioranza e reduce da una recente e clamorosa gaffe internazionale: la nomina di due candidature parallele e concorrenti alla carica di segretario generale dell’ONU (l’attuale direttrice dell’UNESCO Irina Bokova, presentata da un precedente governo di centro-sinistra e l’ex commissario europeo al bilancio Kristalina Georgieva), sfociata in un bruciante fiasco.

Ora, a causa dei meccanismi istituzionali, il paese verrà governato da un governo tecnico almeno fino a marzo o aprile, quando sarà possibile procedere ad elezioni anticipate. Verosimilmente saranno questioni di politica interna a dominare la lunga campagna elettorale, con a capo i temi dell’economia e la questione dei migranti, già ampiamente sfruttata da tutti i contendenti nella lotta per la carica presidenziale. A giocare un ruolo importante sarà anche la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario, proposta in un referendum popolare votato insieme alle presidenziali che, pur mancando di pochissimo il quorum, ha dato indicazioni chiare in questa direzione.

Dopo l’attenzione rimbalzata in questi giorni sui media internazionali, però, non è escluso che la contrapposizione est-ovest troverà maggiore spazio nello scontro politico. Con tutta probabilità GERB giocherà allora il ruolo di garante della scelta euro-atlantica, il partito socialista quello di “ponte” tra Washington, Bruxelles e Mosca.