Storie protagoniste al Torino Film Festival. Storie molto diverse. Una molto locale, ma di respiro internazionale, l’altra conosciuta da tutti, passata tragicamente per la cronaca. Sono le storie di Giuseppe Farassino detto “Gipo” e di Christine Chubbuck.
di Alessandro Rocca
Quella di Gipo e del film documentario “Gipo, lo zingaro di barriera”, del regista torinese Alessandro Castelletto, una storia di identità fortemente voluta e ritrovata dopo tanto vagare.
Luca Morino, musicista e cantante dei Mau Mau, trova una mattina uno scatolone davanti alla porta del suo negozio di articoli musicali. Dentro lo scatolone vi è del materiale su Gipo Farassino: vinili, foto, libri e articoli di giornale. Ma non solo, anche oggetti intimi e personali. Intuisce che lo scatolone non è finito davanti al suo negozio per caso, qualcuno (chi?) glielo ha recapitato e allo stesso tempo lo sta invitando a compiere un viaggio alla “ricerca” dello chansonnier. Inizialmente titubante Luca decide di seguire le tracce presenti all’interno del misterioso pacco. Incontrerà quindi personaggi legati al mondo farassiniano e luoghi di una Torino nascosta e sconosciuta ai più. Spesso catapultato in situazioni oniriche e surreali. Gipo, lo zingaro di Barriera non è solo il tentativo di riscoprire la figura di Farassino, autoctono Johnny Cash sabaudo, artista sottovalutato e spesso etichettato con facili stereotipi (il cantastorie dialettale, coofondatore del partito della Lega Nord Piemontese), ma anche un viaggio al centro della natura più profonda di un uomo. Viaggio che confluisce costantemente nel quartiere periferico e popolare della Barriera di Milano a Torino in cui Gipo nacque nel 1934. Periferia circoscritta geograficamente ma emotivamente universale e illimitata. Indelebile luogo dell’anima.
Il film documentario ha avuto il sostegno del fondo per il documentario della film commission Torino Piemonte.
Una storia, invece, di malattia, tormento interiore, insoddisfazione quella della giornalista Christine Chubbuck nel film “Christine”, diretto da Antonio Campos. Un film dalle tinte anni settanta nei modi e nei colori, un film di profonda riflessione sul come le altre persone spesso non conoscono la piccola battaglia che ciascuno di noi dentro di sé sta combattendo.
Il film racconta la storia della giornalista Christine Chubbuck, una conduttrice televisiva di Sarasota che, dopo una lotta con la depressione, si suicidò mentre era in onda, nel 1974. Interprete principale del film è l’attrice Rebecca Hall. Campos dice “L’avevo vista in una recita a Broadway chiamata Machinal, dove fu veramente incredibile. Ero sbalordito dalla sua performance e sapevo che avrebbe potuto interpretare questo ruolo”.
La Hall fu subito colpita dal potere della sceneggiatura. “L’ho letta ed ero stupita da come la storia fosse stata trasposta in modo così brillante, da come andasse molto oltre al suo suicidio”.
Rebecca spiegò. “C’è questa donna che sta affrontando una crisi nervosa e contemporaneamente anche la nazione è nello stesso stato. Ho intravisto subito l’America della metà degli anni ’70 in quella donna. Credo anche che la malattia mentale e il suicidio siano argomenti di cui la gente ha un po’ paura di parlare, anche se spesso riguardano tutti noi indirettamente in un modo o nell’altro. Questo mi è sembrato qualcosa di cui valeva la pena raccontare e lo script fu redatto in modo davvero intelligente”.