E SE ORGANIZZASSIMO L’ASTENSIONE ANZICHE’ LA RICERCA DEL CONSENSO?
Una proposta concreta per riorganizzare il pensiero politico fuori dalla politica.
di Mauro Mercatanti
Caro Angelo, quando – come scrivi – muoversi insieme non pare essere più possibile allora non resta che una sola opzione praticabile: stare fermi insieme! La mia proposta, che segue la tua quaterna di riflessioni sulla pre-politica (che potete leggere qui, qui, qui e qui) è la seguente: organizziamo l’astensione e diamole senso politico e peso negoziale.
Proviamo lo scarto di lato.
Perché – come diceva il poeta – “la locomotiva ha la strada segnata” (e ce ne siamo accorti!) ma “il bufalo può scartare di lato e cadere”.
Ebbene, dico io: scartiamo di lato, anche a costo di cadere.
Poi ci rialzeremo e vedrete che la strada non sarà più segnata e la locomotiva sarà lontana: una condizione ideale per ricominciare a cercare.
Ma cercare cosa?
Scrivi che “la dinamica del consenso e gli equilibri cangianti non assicurano su azioni di medio, lungo termine”. Ed è vero, il consenso è diventato un maledetto fast food. E’ uno scambio fatto su basi culturali farraginose quando non inesistenti. Non ci costruisci sopra niente di durevole.
Benissimo allora, lasciamolo perdere.
Sì, dico letteralmente, lasciamoci anche perdere se è del caso.
In altre parole: abbandoniamo il campo e conquistiamo il bordo campo.
Usciamo dalla farsa dello “scendere in campo”, oggi indissolubilmente legata a una disponibilità economica e di relazioni “forti” che tanto non abbiamo (né vogliamo avere, ben sapendo che sono proprio quelle disponibilità e quelle relazioni a rendere sostanzialmente impraticabile il campo di gioco) e conquistiamo gli spalti, che sono i posti dove è in fin dei conti giusto e inevitabile che il Pubblico stia.
Ebbene sì, quello che propongo è – orrore degli orrori! – mutuato dal mondo sportivo, calcisitico soprattutto: quello che propongo è di rinunciare al gioco giocato e dedicarsi al tifo organizzato.
Ma attenzione, qui viene il bello!
Io non dico di tifare una delle squadre in campo.
Io dico di tifare la squadra che non c’è, o meglio ancora: il gioco di una squadra ipotetica, ancora tutta da costruire.
Dico di fermarsi, voltare le spalle alla partita (che tanto è “truccata” e non appassiona più) e organizzare un “blocco sociale”.
Sì, un “blocco”.
Inteso in due sensi.
Un blocco di voti, innanzitutto: nessuno di quelli che si riconoscono nel “blocco” vota più, ma tutti non votano più insieme e per ragioni che mettono nero su bianco, anziché astenersi tutti in modo frammentato e dunque inconcludente, quando non funzionale alla conservazione dello status quo.
Un blocco di persone, anche: vale a dire gente che quei voti è in grado di muoverli compatti. Come li ha bloccati, così li può sbloccare, in presenza di una credibile assunzione di responsabilità politica da parte di chi, legittimamente, se li vuole conquistare partecipando al gioco democratico.
Il punto centrale è la cessione di sovranità che il singolo fa al blocco, accettando di farne parte, essendosi reso contro che la dimensione dell’aggregazione collettiva è ancora (e sempre resterà) l’unica opzione possibile per pesare nel discorso pubblico e che essersi fatti sedurre dai modi civettuoli della disgregazione è stata una grave debolezza da parte nostra e una grande vittoria di quelle forze e di quegli interessi che su quella disaggregazione hanno costruito la loro rendita di posizione.
Ecco cosa quindi: accettare di far parte di un “blocco” per pensare e far pesare le ragioni di un distacco e di una disaffezione.
Per contro, come credo sia ormai evidente a tutti, l’attesa messianica di una nuova offerta politica che ci rappresenti è destinata a generare frustrazione per una semplicissima ragione: la disgregazione sociale, ideologica e culturale avviata alla fine del secolo scorso e portata a compimento all’inizio di questo, non ci permette né ci permetterà più di tenere in vita un meccanismo di rappresentanza tra gruppi sociali consapevoli e forze politiche consapevoli. Oggi quello stesso meccanismo agisce a vuoto, su una sostanziale mancanza di consapevolezza sociale e politica. E quando la consapevolezza muore, l’unica strada è ricostruirne una nuova. Perché quelle vecchie, una volta che sono passate, non le rianimi più (non so se l’avete notato).
Sì, ma un blocco in nome di cosa?
E qui entriamo negli aspetti puramente organizzativi.
OCCORRE UN QUARTIER GENERALE
Scrivi ancora: “Una comunità non ha bisogno di un vangelo, ma di uno strumento e di una condivisione valoriale scheletrica”.
E questo per me – scusa l’ironia – è Vangelo!
E lo strumento che propongo è questo: www.oxway.co
Una piattaforma online, che seguo e utilizzo da tempo per lavoro, che è in grado di organizzare, in modo semplice, riflessioni e interazioni collettive e interconnesse per arrivare a conclusioni nuove e condivise.
Una piattaforma in grado di dare vita a una grande agorà virtuale, un vero e proprio impianto in grado di estrarre e raffinare intelligenza collettiva per farla diventare energia propositiva.
Una piattaforma dotata di una governance completamente a-valutativa, posta al servizio del funzionamento del processo e non delle sue conclusioni.
In altre parole: lo strumento per la produzione e la condivisione di uno “scheletro valoriale” a cui dare corpo, anima, nervi, muscoli, tendini, cuore e tutto il resto appresso.
Di tutto questo dovremmo essere tutti ancora provvisti, essendo tutti ancora vivi.
Ed eccola dunque una possibile nuova casa, dove riaprire un cantiere pre-politico dove si possa discutere e costruire qualcosa di nuovo insieme, fuori dai meccanismi, dalle logiche e dai tempi impossibili e perversi della ricerca del consenso.
Ma al tempo stesso un luogo che non sia solo accademico e avulso dalla realtà, ma interamente calato in essa, attraverso la logica assolutamente contemporanea e quasi “religiosa” (essendo quella cara ai mercati) dello scambio: noi dare questo a chi dare quest’altro. Semplice, chiaro, scorrevole, ingaggiante e fottutamente concreto.
Sento già le obiezioni: ma è quello che hanno fatto Grillo e Casaleggio!
Sbagliato. E’ quello che Grillo e Casaleggio avevano detto di voler fare ma non hanno mai fatto per il semplice fatto che entrare nel gioco democratico della ricerca del consenso non ti permette di ragionare in modo condiviso e realmente agito dal basso.
Per farlo davvero occorre scartare di lato e uscire dalle dinamiche della ricerca del consenso.
Occorre farsi blocco, in punta di metodo e di fatto, e negoziare lo sblocco per favorire l’accoglimento di istanze che altrimenti restano sistematicamente prive di rappresentanza semplicemente perché non adeguatamente rappresentate, in uno scenario e in una fase di completa polverizzazione delle istanze e disarticolazione dei corpi intermedi.
Quello che proponiamo è un elaboratorio permanente finalizzato alla creazione di 5 punti programmatici da aggiornare e verificare continuamente e che siano la base, il collante, il mastice che tiene insieme il “blocco” e che consente l’interlocuzione con l’offerta politica che si prefigga di sbloccare i voti del blocco.
I 5 TEMI PORTANTI
1. Come e perché affrontare la questione dell’inevitabile contrazione del lavoro umano necessario al funzionamento minimo di una società?
2. Come e perché affrontare in modo innovativo il tema di un nuovo welfare e di un nuovo patto sociale, a partire da una nuova e più effettiva fiscalità progressiva?
3. Come e perché far diventare l’accoglienza un’occasione rigenerativa di senso, di valore e di lavoro?
4. Come e perché riconvertire la spesa i budget milionari delle grandi opere in piccole opere che ricostruiscano (sia metaforicamente che concretamente) relazioni, legami, argini e solidità tanto nelle comunità quanto nei territori che abitano?
5. Come e perché ricollocarsi (e sulla base di quali valori irrinunciabili) sullo scacchiere internazionale ed europeo?
RICAPITOLANDO…
1. Il social block che ho in mente non è Aventino perché resta completamente aperto al confronto e all’interlocuzione con l’offerta politica.
2. Il social block che ho in mente non è settario perché accoglie e invita tutti alla creazione di una nuova piattaforma programmatica che scomponga e ricomponga le identità politiche sulla base delle aspettative politiche dell’oggi e non della sterile ricerca del consenso o – peggio mi sento – del tifo politico per questa o quella lacera bandiera.
3. Il social block non è antipolitico, ma semmai pre-politico, perché ha lo scopo di ricostruire, in modo partecipato e allo stesso tempo concretissimo, una base valoriale e di idee che aggreghino in modo innovativo un nuovo corpo sociale e gli permettano di agire politicamente, dialogando e stimolando l’offerta politica mediante la rappresentazione plastica ed estramamente metodica di istanze in trasformazione continua.
4. Il social block non agisce solo come congelatore di voti, connettore di istanze e veicolatore di consenso nel momento elettorale, ma anche come “cane da guardia” dopo, sempre pronto a togliere la fiducia e ricongelare il voto, laddove l’azione politica non appaia conseguente agli impegni elettorali.
5. Il social block non ha come obiettivo l’eternizzazione di sé e non agisce dunque come organizzazione che vuole esistere nel tempo, ma si pone l’obiettivo di sbloccare politicamente una situazione ingessata, di scomporre e ricomporre scenari e contenuti e di reinserire nell’agenda politica del Paese obiettivi, valori e orizzonti che attualmente sembrano non trovare spazio. Il social block ha l’obiettivo di sciogliersi non appena l’offerta politica ne recepisca le istanze, sia nell’enuciato che nell’agire politico.
Se questo scritto (anzi, questi scritti) vi hanno acceso anche solo un barlume di interesse, l’invito è quello di vedersi per discuterne in modo del tutto orizzontale (ma non per questo non governato) in un incontro da organizzarsi laddove a questa proposta sia seguita una reazione degna di tal nome.
Bene che vada troveremo una strada, un apriscatole, un’idea.
Male che vada avremo, quanto meno, cominciato a provarci.
Chi ci sta metta il dito sotto qua.