Il liutaio

Intervista a Sergio Scaramelli, artista della costruzione degli strumenti musicali


di Cristina Zuppa

Ferrara, una villetta appena fuori le mura, due edifici vicini. La casa di Sergio Scaramelli, e il suo laboratorio di liuteria. Sul cancello di ingresso, una grande chiave di violino in ferro battuto.

Perché una chiave di violino? Sergio costruisce per lo più contrabbassi.
“E’ il regalo di un amico – spiega – ha scelto lui”, la chiave di violino è un simbolo musicale più conosciuto”. La chiave di contrabbasso, invece, è tatuata su un polso.

“Sono sempre stato attratto dai suoni più gravi. Il Baritono nei sax, basso elettrico, contrabbasso.
Credo che suonare sia proprio benefico per il corpo. Note intonate però. Quando sento suonare stonato sto male. Per questo non mi piace riparare strumenti mediocri, che hanno un brutto suono, provo proprio un fastidio fisico”.

Diplomato al conservatorio in contrabbasso, ha cominciato a suonare da giovanissimo.
“Ares Tavolazzi (noto bassista e contrabbassista ferrarese, n.d.r.), era amico di mia cugina, aveva un complessino, lui aveva 16 anni all’epoca, io 12. Mia cugina mi portò a sentire un suo concerto, e io rimasi affascinato dal suono del basso elettrico. Poi a fine concerto Ares venne a salutare mia cugina, e tutte le ragazze erano intorno a lui. Allora ho deciso che volevo suonare anche io. Mi era piaciuto moltissimo il suono del basso, ma il fattore “ragazze” mi sa che è stato determinante. Ares disse che studiava al conservatorio, così qualche giorno dopo sono andato ad informarmi, e mi sono iscritto anche io”.

“Il fatto però è che Ares era proprio dotato, musicalmente parlando, io no. Se mi dai lo spartito suono tutto. Se mi togli lo spartito sono in difficoltà, non ho quell’orecchio musicale. Il mio maestro mi aveva insegnato a trasformare un segno in una nota, possibilmente intonata, e da questo meccanismo cerebrale non sono più riuscito a svincolarmi, credo. A 16 anni ho cercato di suonare in qualche complessino, che quello era il mio obiettivo, ma per suonare il jazz, o comunque musica dal vivo, serve una musicalità, una capacità di stare dentro la musica, che io non avevo. Ho fatto dei tentativi, tutti falliti. Così alla fine ho continuato con la musica classica”.

“Il primo contrabbasso che ho costruito l’ho fatto per me. Avevo accompagnato un amico a comprare un contrabbasso. Costava due milioni, non mi ricordo che anno era. Il mio amico non li aveva, arrivava al massimo a trecentomila lire – ride – così decise di farselo da sé, il contrabbasso. E se lo fece davvero! Allora lì pensai, se lo ha fatto lui, posso farlo anche io. E’ così che ho cominciato a costruire contrabbassi. Quando andavo a suonare col mio contrabbasso fatto in casa, gli altri mi chiedevano, mi facevano i complimenti, e lì scattava una sorta di orgoglio… sì, ero orgoglioso di ciò che avevo creato. Così piano piano ho cominciato a fare qualcosina, poi sempre di più, finchè non ho capito che poteva diventare una mia attività. Un’attività persino più adatta alla mia personalità che non il suonare musica. Perché di fondo ero, e sono tutt’ora, un timido. Non ero sfrontato, non mi piaceva stare “davanti”. Questo è un lavoro in cui si sta molto appartati, lo preferisco. E poi sono indipendente, mi autogestisco, non devo rendere conto a nessuno. E infine – aggiunge guidandomi nella bottega adiacente alla casa – un lavoro che fai 5 metri per andare a lavorare, sotto il portico, se piovi neanche ti bagni, che potrei volere di più?”

Quasi autodidatta, Sergio. Non è andato a bottega da un liutaio per imparare.
“Certo, avevo dei contatti, persone a cui potevo chiedere aiuto quando qualcosa non riuscivo a farla. Ma non ci sono poi tutte queste difficoltà. Oggi poi è ancora più facile, non ci sono segreti, ci sono libri che spiegano, si trova tutto. All’epoca non era così, ma lo stesso non era poi così difficile. E’ solo un oggetto che tu puoi smontare e rifarlo uguale”.

L’affermazione “è solo un oggetto” mi lascia interdetta. Io che sono più propensa a vederlo come una magia cerco di indagare meglio. Quali fattori determinano o influenzano il suono?, chiedo. I contrabbassi sono tutti più o meno uguali, la forma quindi è decisiva? Sorride.

“I contrabbassi veramente sono tutti diversi. E’ uno degli strumenti che offre maggiore libertà nella realizzazione. Il suono dipende da tante cose, la forma, le dimensioni, tipo di corde, la pressione del ponticello sulla tavola. Però davvero ora è molto più facile rifare un contrabbasso, si trovano tutte le informazioni, vendono i legni già stagionati e sagomati, te li mandano a casa”.

“L’abete rosso è quello che si usa per la tavola armonica, è il cosidetto legno di risonanza, suona. Suona anche quello bianco, però suona meno. Il migliore è quello Italiano, quello che cresce in Trentino Alto Adige e in Friuli, cresce sopra 1000-1500 metri. Si trova anche in Svizzera, in Romania, in altri paesi, dappertutto. Il nostro però è il migliore. Proprio dal punto di vista acustico, di velocità di trasmissione delle onde sonore”.

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“Per fare le le fasce, il manico e il fondo si usa l’acero, che è molto bello dal punto di vista estetico, e si trova soprattutto nei balcani, in Romania, Bosnia, Croazia, quella zona lì è la migliore.
Si usa molto anche il pioppo, che è un legno locale, cresce nella pianura padana, è interessante per avere un suono vicino al suono antico. Il legno vado a scegliermelo di persona. Di solito lo compro già tagliato. Si possono comprare anche i tronchi ma poi diventa complicato, bisogna portarli in segheria, seguire il taglio”.

“Vengono tagliati in modo radiale – prende un foglio e disegna la sezione di un tronco – vedi? viene tagliato a metà, poi a spicchi, come un’arancia, in modo che le venature siano, non so come spiegare, nella loro massima robustezza. Lo strumento è fatto di due pezzi di legno uniti insieme, due facce uguali speculari, che ottieni da un’unica sezione radiale del tronco divisa a metà”.

“Altri legni che si usano sono l’ebano per la tastiera, il palissandro, per il manico. Sono legni cancerogeni, se ne respiri la polvere finissima. Dovrei usare la mascherina quando li lavoro. Il palissandro poi fa un profumo che ti frega perché è buonissimo”.

Come lo scegli il legno? Da cosa capisci che sarà buono per fare lo strumento che hai in mente?
“Si acquisisce un’esperienza, è come andare a scegliere un’anguria. C’è gente che va a comprare l’anguria, le guarda tutte, ci bussa sopra con le nocche, ascolta, e torna a casa con quella migliore. E’ la stessa cosa. Poi ci sono anche considerazioni estetiche, perché quando fai uno strumento devi farlo il più bello possibile. Se sei un musicista stai più ore con il tuo strumento che con l’amante, è un rapporto forte. Ovviamente la cosa più importante è la voce dello strumento, che è la voce con la quale ti esprimi. Ma anche l’estetica conta moltissimo, il violoncello in particolare ce l’hai abbracciato tutto il tempo, è un rapporto molto intimo, le vibrazioni ti entrano nel corpo. In questo Il violoncello è uno strumento più ‘femmina’ rispetto al contrabbasso, più sensuale.
Il contrabbasso è uno strumento faticoso, richiede tempo, e investimento in materiali. E rispetto a violini e violoncelli viene pagato meno. Si lavora di più e si guadagna meno”.

Mi mostra un legno.
“Vedi? Avevo disegnato la forma del contrabbasso, ma siccome ci sono dei nodi, avrei dovuto tagliare la parte e incollarne una sana. Poi ho visto che sullo stesso legno potevo tagliare la sagoma di un violoncello, e il legno residuo mi basta anche per un violino e altre parti per un contrabbasso, e forse anche un piano per chitarra. Salta fuori più roba e anche più costosa”.

“Però per fare violini è necessaria una competenza straordinaria, perché c‘è moltissima competizione.
Noi liutai che facciamo contrabbassi siamo meno numerosi. Da qualche anno in Italia stiamo diventando sempre di più, e i contrabbassisti diventano sempre di meno. Ma ancora si riesce a lavorare, anche se le richieste ora vengono soprattutto dall’estero. Riparazioni, costruzione di nuovi strumenti, restauro di quelli antichi”.

“Ora sto diventando anziano, seleziono i clienti, faccio solo i lavori che mi piacciono. Ma sempre continuo ad imparare. Un musicista anziano mi diceva sempre: mi dispiace di dover morire perché ci sarebbe ancora così tanto da imparare! Ed è proprio così, almeno nell’arte e nella musica. Se oggi guardo uno strumento che ho fatto 6 anni fa già non mi piace più, si migliora, si cambia, si va sempre avanti”.