Ghetti di braccianti stranieri
di Andrea Colasuonno
Il filosofo Michael Foucault sosteneva che il totalitarismo fosse una possibilità radicata nelle società moderne, mai completamente estirpabile. In altre parole, per il filosofo francese, fascismo e stalinismo – definite “malattie del potere» – «nonostante la loro singolarità storica, […] non sono assolutamente originali. […] Il fascismo e lo stalinismo hanno utilizzato ed esteso meccanismi di potere già presenti nella maggior parte delle altre società”.
Dunque secondo il filosofo, sistemi liberaldemocratici e sistemi totalitari, hanno in comune qualcosa, nello specifico, il fatto di essere entrambi gestiti sulla base di “dispositivi di potere”.
Un “dispositivo” per Foucault è un insieme di “discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche” che servono alla società per governare l’individuo, renderlo un bravo e onesto cittadino, non pericoloso per nessuno.
Il dispositivo agisce allora tramite tre componenti: la sovranità, ossia l’esercizio del potere tramite gli apparati statali; le discipline, ossia l’esercizio del potere tramite l’educazione e l’addestramento; il biopotere, ossia l’esercizio del potere tramite l’urbanistica, la progettazione territoriale, le politiche sanitarie o quelle di propaganda. Una politica fatta usando questi meccanismi, è ciò che Foucault definisce “biopolitica”.
Quella di biopolitica è forse la trovata concettuale più famosa del celebre autore. Da che fu da lui teorizzata (anni Settanta, anche se il termine esisteva da prima) non si è più smesso di usarla, e questo perché in effetti definisce la peculiarità della politica moderna.
La biopolitica è letteralmente la politica che arriva a regolamentare la vita anche nei suoi aspetti biologici: sessualità, salute, riproduzione, morte e così via. È il governo della popolazione in quanto specie vivente, e se da un lato la protegge e la rende sicura, dall’altro la rende completamente succube e omogenea.
Se negli stati totalitari, basati ad esempio sull’ideologia fascista o comunista, il biopotere viene imposto ed esercitato platealmente; nelle liberaldemocrazie, basate sull’ideologia liberista, il biopotere viene esercitato per induzione, in maniera subdola e laterale, e pur tuttavia esercitato.
Attenzione, non si vuole dire banalmente che non ci sia differenza fra totalitarimo e liberaldemocrazia, sarebbe assurdo. Ciò su cui si vuole concentrare l’attenzione è che per quanto quest’ultima provi a passare come il sistema politico garante per eccellenza dei diritti dell’uomo, poi non ci riesca mai del tutto, poiché fondata sulle stesse dinamiche dei sistemi totalitari.
Lo si capisce di volta volta da vere e proprie tracce di totalitarismo reperibili nelle nostre società a sistema capitalista. È il caso dei ghetti in cui vivono i braccianti stranieri: a questi si potrebbe guardare come a dei lager in cui la gente non viene deportata con la forza e costretta ad andare, ma in cui viene indotta e persuasa, nonché messa nelle condizioni, di recarsi spontaneamente.
Certo presumibilmente nei ghetti di migranti si vive un po’ meglio che nei lager nazisti (posto che non si è lì per essere dichiaratamente sterminati dallo Stato), ma stiamo parlando di una differenza fra miserie. Nei ghetti dei braccianti stranieri le condizioni di vita sono largamente al di sotto di quelle considerate dignitose, e ciò basti. Di tali condizioni si parla diffusamente in diversi libri-inchiesta pubblicati negli ultimi anni.
Per vivere nel ghetto si paga e qualunque cosa, al suo interno, costa denaro. I migranti accettano perché chi non vive lì non lavora. «”l posto è l’ideale per nascondere un sistema fra i meglio organizzati. Questa casa è una specie di torre dentro un panottico: da qui si domina tutto, si vede tutto, si controlla tutto. È un luogo di accentramento delle funzioni, la testimonianza del potere assoluto del capo”, raccontano Yvan Sagnet e Leonardo Palmisano in Ghetto Italia.
“A parole eravamo liberi di andare via dal casolare, ma di fatto c’era un’aria strana. Capivamo benissimo che le minacce verbali si sarebbero trasformate in violenza fisica. Sembrava di essere finiti in un lager nazista”, racconta un testimone ad Alessandro Leogrande in Uomini e Caporali.
Il caporale, spiega Leogrande, “ora prende la forza lavoro di cui necessita direttamente dalle aree più povere dell’Europa, le carica sui pullman e le trasporta in casolari isolati dal mondo e controllati militarmente”.
“Il campo era vigilato da guardie armate”, si legge in più di una denuncia. […] Il caporale non è più un semplice intermediario, diventa l’asettico gestore di un ‘campo di lavoro’ più o meno organizzato, in cui i diritti minimi e ogni forma di ragionevolezza sono soppressi”.
Ciò su cui tali lavori concordano, allora, è che benché il fenomeno del caporalato esista da secoli, quello praticato oggi è qualcosa di nuovo. L’elemento di novità sta proprio nel fatto che in passato i caporali esercitavano il proprio potere sui sottoposti durante le ore di lavoro, oggi, gestendo essi stessi i ‘ghetti’, lo fanno su tutti gli aspetti della vita di quelli.
Siamo allora in presenza di un «biocaporalato» potremmo dire con Foucault. “Riempiendosi di questi campi fuori dalla legge, le lande agricole del Tavoliere non sono ritornate a un passato che si perde nella notte dei tempi. Al contrario sono state catapultate nella postmodernità più cruenta, si sono viste precipitare verso un grado di sfruttamento di quella nuda vita quasi totalitario”, nota Leogrande.
Facile poi dimostrare come questi ghetti siano il prodotto, fra i più nefasti, del sistema neoliberista che oggi regola i mercati internazionali. Le grandi imprese, in un sistema simile, per essere competitive, sono costrette a tenere bassi i costi di produzione. Ciò vale anche, forse soprattutto, per il settore agroalimentare.
Ecco che “le industrie dei pelati hanno fissato il loro prezzo e lo hanno comunicato ai grossisti. I grossisti stabiliscono il prezzo del pomodoro al quintale e lo impongono ai coltivatori. I coltivatori, a loro volta, si rifanno sui braccianti attraverso i caporali. Una catena al ribasso dove tutti lucrano su chi sta sotto, a cascata”, si spiega nel già citato Ghetto Italia.
Se allora si è in Occidente e non un in paese sottosviluppato, dove cercare gente disposta a lavorare quasi in schiavitù? Fra i migranti. Meglio ancora se sprovvisti di permesso di soggiorno, ancora più ricattabili. E se si è una democrazia rispettosa formalmente dei diritti umani, a chi affidare il reclutamento e il controllo di questi lavoratori? Alla criminalità. E la criminalità come può gestire al meglio questa massa di uomini, esercitando il maggior potere su di essi, ma senza dare nell’occhio? Sistemandoli nei ghetti.
Dovrebbe intervenire lo Stato, si potrebbe obiettare, garantendo i diritti di chi in esso risiede. Ma lo Stato ha interesse a farlo fino a un certo punto. Un colosso dell’agroalimentare che lascia una nazione poiché non competitiva, è un danno non indifferente.
Perché? Perché rallenta la crescita, e questa è il dogma sui cui si fonda l’ideologia liberista, dunque anche le nostre democrazie. Lo Stato così si fa da parte, lasciando il campo, è il caso di dire, al mercato. Allora le democrazie credono di essere immuni dal demone totalitario, ma ne finiscono succubi anch’esse, dovendosi piegare a quello del mercato.
Continuando con la nostra analisi comparata dunque: se nel caso del nazismo l’ideologia era quella nazionalsocialista, il dogma su cui era fondata quello della razza superiore, l’attore totalizzante lo Stato, i mezzi del potere le SS e i lager; ai tempi nostri l’ideologia è quella neoliberista, il dogma su cui è fondata quello della crescita, l’attore totalizzante il mercato, i mezzi del potere i caporali e i ghetti.
Ribadiamo che differenze qualitative fra i due sistemi esistono eccome, tuttavia alla base l’impianto è lo stesso. Ad agire sono gli stessi dispositivi di potere biopolitici visti in precedenza, al netto del fatto che durante il nazismo venivano imposti, oggi li si fa funzionare creando le condizioni giuste.
Ecco che se la democrazia davvero deve essere quel sistema politico che difende le sue minoranze, di strada, a vedere ciò che accade nelle nostre campagne, gliene rimane ancora parecchia.