Il film, opera prima di Ines Tanović, racconta la vita quotidiana e le contraddizioni della Bosnia di oggi
“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.
di Francesca Rolandi
L’opera prima della regista Ines Tanović, La nostra storia quotidiana, è stato candidato come film straniero all’Oscar nel 2015. Ancora una volta il maggiore limite del cinema post-bellico bosniaco, la sovraesposizione dei temi bellici, riappare in un film che racconta un affresco della società bosniaca che, a oltre vent’anni dalla fine del conflitto, fa ancora i conti con i suoi postumi.
Tuttavia, l’atmosfera tangibile che descrive, quella di una Bosnia dove i momenti sociali sono lunghissimi e le sigarette numerose, dove i rapporti sono a volte dolorosi ma mai indifferenti e dove l’unico antidoto alla disperazione sembra essere la lentezza che insegna a guardare in modo diverso alla vita, offrono uno spaccato affascinante di una città nelle sue contraddizioni.
Protagonista del film è Saša, un veterano quarantenne che non è mai riuscito a riadattarsi a una vita civile, in una città dove molti pensano che si stesse meglio quando c’era la guerra e c’era ancora la speranza di un domani migliore a conflitto finito, la corruzione regna sovrana e il neoliberismo ha spazzato tutte le certezze.
Sarà però l’incontro con una donna e la malattia che colpisce la madre a sancire un nuovo inizio, in cui l’agire prende il posto dell’inerzia. In questa storia di tutti i giorni, appunto, non succede niente, niente di particolare, ma c’è una presa di coscienza dei personaggi di quanto valgono l’uno per l’altro.
I genitori di Saša, il padre direttore patriarcale di un’azienda socialista sulla soglia della pensione, la madre matrona che si scopre malata di cancro, interpretati da Emir Hadzihafizbegovic e Jasna Beri, due pilastri della cinematografia locale, sono un affresco stesso della Bosnia, con i loro ruoli familiari, la saggezza e la follia dei sarajevesi, i rapporti congelati quando così tanto ha cambiato la guerra.
Così come dolorosa e autentica appare la figura di Saša, interpretata da Uliks Fehmiu, figlio del ben più famoso Bekim, attore di punta jugoslavo di origine albanese, che salì alla ribalta internazionale per la sua interpretazione del grande sceneggiato RAI Ulisse, al fianco di Irene Papas. Bekim si ritirò a vita privata con l’emergere dei nazionalismi e la repressione serba in Kosovo e si è tolto la vita nel 2010.
Ci sono molti buoni motivi per aspettarsi dalla cinematografia bosniaca temi altri dalla guerra, pur tenendo presente che il conflitto segna come uno spartiacque ogni aspetto della vita del paese. Ce ne sono tuttavia altrettanti per vedere “La nostra storia quotidiana” e sentire quello che viene spesso chiamato “lo spirito della Bosnia”.