Post-verità e apocalisse referendaria

Tempo di scenari e di invenzioni del giorno dopo.
Quattro false verità sul No.

di Lorenzo Bagnoli

La parola dell’anno è “post-verità”, come decretato dall’Oxford dictionary, che l’ha inserita tra i nuovi lessemi  (unità di base del lessico dotata di un significato da cui derivano forme diverse) del 2016. Significa “relativa a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica del ricorso alle emozioni e alle credenze personali”. Nella pratica, trattasi di una forma di propaganda, soprattutto da social network. L’effetto combinato con la naturale (e riprovevole) tendenza del giornalismo a spettacolarizzare ogni evento, crea, in sostanza, una Brexit al minuto. L’ultimo caso di Brexit da post-verità è il referendum costituzionale.

Doveva essere una votazione per un argomento specifico, con effetto immediato su una sola materia. Poi la personalizzazione del voto su Renzi, la posta che lo stesso ex primo ministro ha messo sull’esito delle urne, ha totalmente snaturato lo spirito con cui si è votato a questa consultazione.

Ma questo non cambia un fatto: era un referendum, non la votazione per il nuovo parlamento.

Gli schieramenti contrapposti non si sfidavano su programmi comuni, ma sull’adesione o meno ad una riforma costituzionale. Se qualcuno ha votato con altri scopi, ha usato uno strumento improprio, attraverso cui – almeno prima delle nuove elezioni – non potrà raggiungere il suo scopo ultimo: il potere.

Per misurare la qualità della campagna elettorale basta un dato: la notizia più condivisa sui social – afferma il sito Pagella Politica, fact-checker che lavorano in collaborazione con l’agenzia Agi – è una bufala.

Il giorno dopo il voto, il clima da apocalisse non si stempera. Anzi, si nutre di altre ricostruzioni che, di nuovo, assumono invece che fatti accaduti, supposizioni. Obiettivo del testo che segue è analizzare con onestà intellettuale cinque assunti post-referendari che, forse, più che essere ascritti agli “scenari” (categoria già di per sé scivolosa), andrebbero messi nelle “congetture/fantasticherie”. E forse un giornalista ha il dovere di dire se un’opinione è assurda oppure no. Notare: “onestà intellettuale” non equivale ad essere super partes. Chi scrive, infatti, ha votato. E ha votato No.

 

1. “L’Italia uscirà dall’Europa”

Per la rubrica, “il giornalismo del resto del mondo è migliore”, si prenda il Wall Street Journal: “Il No italiano mette nei guai l’Eurozona”. Ma sarà vero? Sarà vero che il No è “antiestablishment” e “antiriforme” oppure è ancora un argomento elettorale travestito da analisi? Una verifica con quello che dovrebbe essere il più preoccupato di tutti, Pierre Moscovici, commissario europeo all’Economia. Il quale dice: “Non bisogna fare psicodrammi, è un voto italiano su una riforma italiana. È inutile esagerare con le reazioni“, incluso ipotizzare una nuova crisi dell’Eurozona. Forse anche a Wall Street si sono dimenticati le regole del buon giornalismo anglosassone. C’è una narrativa dilagante che ha cominciato a diffondersi dopo il voto della Brexit: “L’Italia sarà la prossima a lasciare l’Europa”. Oggi è un refrain di giornali e commentatori stranieri che invocano “paure”. Di cosa? Il referendum non ha formato nessuna maggioranza politica. In più, il Movimento5Stelle, come sempre, sul restare o meno in Europa ha detto tutto e il contrario di tutto. E prima di decidere alcunché dovrà vincere le elezioni, alleandosi con qualche altro euroscettico. Possibile? Quantomeno improbabile. Da notare, infine, che chi ha lanciato la volata sui social per tornare su questa quantomeno discutibile previsione è stata Marine Le Pen.

 

2. “Il pallino è in mano al No”

L’argomento è scorretto per due motivi. Il primo, non erano elezioni politiche, quindi il No non era un partito, quindi non deve decidere nulla. Per altro, chi rappresenta il No in Parlamento non costituisce alcuna maggioranza. Quindi il pallino è solo in mano al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al dimissionario Matteo Renzi, visto che si ritrova anche ad essere il segretario del partito di maggioranza del Paese. E anche a lui starà decidere sul “dopo di lui”: sta nelle cose, nella paradossale situazione in cui si trova l’Italia. Lo stesso Renzi quando si è rivolto ai vincitori li ha chiamati in causa in questi termini:

“Questo voto consegna ai leader del fronte del No oneri e onori insieme alla grande responsabilità di cominciare dalla proposta, credo innanzitutto dalla proposta delle regole, della legge elettorale. Tocca a chi ha vinto, infatti, avanzare per primo proposte serie, concrete e credibili”.

Il che non significa “pensate a chi far governare”, ma pensate ad una proposta per la legge che insieme alla nuova Costituzione ha spinto gli elettori a votare No. Si legge questo sul sito del Comitato per il No:

“Garantisce la sovranità popolare? NO, perché insieme alla nuova legge elettorale (Italicum) già approvata espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri”.

 

3. Il vero vincitore è Grillo

Il Movimento 5 Stelle ha puntato molto sul referendum, è fuori di dubbio. Ma non è stato l’unico. Far combaciare il “Popolo del No” con l’elettorato di Beppe Grillo è scorretto. Punto. Lo ricorda Stefano Feltri, vicedirettore de Il Fatto quotidiano, testata che innegabilmente è vicinissima ai grillini: “Se consideriamo la somma dei voti dei due partiti cosiddetti anti-sistema, Movimento Cinque Stelle e Lega Nord, si arriva poco sopra il 40% dei consensi. La percentuale di voti per il No alla riforma costituzionale è stata molto più alta, segno quindi che non c’è una sovrapposizione tra contrarietà alla riforma (o a Renzi) e le posizioni estreme nel nostro arco costituzionale”. Ergo: nessuno può intestarsi la vittoria del No e nessuno può dirsi di essere chiamato a gestire il dopo Renzi. Per altro, è sempre al Presidente della Repubblica che spetta l’ultima parola. Può poi essere vincitore un movimento che vuole andare al voto con una legge che il No non vuole? Misteri.

 

4. “Ha vinto il populismo”

L’ultimo argomento riassume i precedenti. Di solito è imbracciato da chi a sinistra ha votato Sì. Lo si spiega pubblicando un’infinita serie di impresentabili (almeno a sinistra) che hanno votato No e che gioiscono per l’esito referendario: Salvini, Meloni, Berlusconi, La Russa, Meloni, Brunetta, Grillo, Di Maio… Populisti? Certamente. Ma lo spot elettorale di BastaunSì era diversa dalla comunicazione politica del Movimento5Stelle? E allora torniamo al punto di partenza, all’onestà intellettuale.

Non è un’opinione, è un fatto: entrambi gli schieramenti hanno gareggiato per semplificare l’argomento all’osso, trasformando il quesito in uno slogan populista: “Deriva autoritaria” VS “Meno soldi ai politici”.

La conclusione del ragionamento sarà banale.

No, il referendum non è l’apocalisse.

Titolisti e commentatori se ne facciano una ragione.