Turchia, scacco all’Europa

Erdogan ha sempre un atteggiamento contraddittorio
quando tratta con l’Europa. Minaccia e umilia. Ma Bruxelles negozia.
 Intervista al professore Mehmet Ugur

di Lorenzo Bagnoli
 

La Turchia è così, perennemente in bilico. È nel suo dna, non solo geografico. Tra la paura di morire di terrorismo e l’atteggiarsi da superpotenza regionale. Tra l’aspirazione all’Europa e la minaccia al Vecchio Continente, con il coltello tra i denti. All’oscillare delle trattative con Bruxelles, però, corrisponde sempre un intollerabile immobilismo della Commissione europea. Mentre più voci (per ultima, quella dell’Austria) chiedono di sospendere i negoziate di annessione di Ankare all’Unione europea.

Dopo la bomba scoppiata allo stadio di Besiktas, costata la vita a 44 persone e rivendicata dal gruppo filocurdo TAK, il governo di Erdogan ha risposto con 253 arresti. La solita repressione dopo la violenza. Con l’Europa, invece, il rapporto è sempre più sfaccettato, più complesso. A inizio dicembre, Erdogan minacciava di spedire 3mila migranti al giorno dalle coste turche alla Grecia, “se l’Europa non avesse rispettato i patti”. Però, a stretto giro, il pompiere Ömer Çelik, ministro per i rapporti con l’Europa, a Bruxelles incontrava Dimitri Avramoupulos, commissario europeo all’immigrazione. Un segno di distensione – forse – dopo che il Parlamento europeo il 24 novembre aveva votato una risoluzione (non vincolante) per sospendere le negoziazioni per l’ingresso di Ankara nell’Euroclub.

A trarre beneficio da questa Turchia bifronte, è un uomo solo: il presidente Recep Tayyip Erdogan. A dirlo è il professore turco dell’università di Greenwich Mehmet Ugur, economista molto noto e molto influente.

Rappresenta una delle voci più autorevoli dell’opposizione a Erdogan fuori dalla Turchia: è il primo firmatario della petizione a sostegno di Academics for Peace, un gruppo di oltre 1.300 accademici che in Turchia ha chiesto, a gennaio 2016, che Erdogan fermasse il suo pugno di ferro contro la minoranza curda. È da allora che il mondo delle università fa parte della schiera sempre più larga dei nemici del “sultano”. Se l’Europa non ha il coraggio di interrompere le relazioni con Ankara, il presidente turco non ha perso tempo, guardandosi intorno in cerca di nuove alleanze. E il nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, potrebbe essere il suo inatteso alleato.

Erdogan, dichiara Mehmet Ugur “sta insultando l’Unione europea e i suoi leader ogni giorno. E questi non hanno ancora mostrato alcuna spina dorsale. Quindi, e a prescindere se le negoziazioni per l’annessione turca saranno sospese o meno, la Turchia non rispetterà mai i suoi obblighi dell’accordo per i rifugiati. Continuerà ad usare il trattato come minaccia, finché vedrà che funziona. È proprio ora che l’elite europea si svegli e riconosca la realtà. Il regime dell’AKP sta facendo un gioco per il quale spera che l’Europa se ne vada piuttosto che iniziare un confronto. Lo definisco, per l’Europa, il gioco della legittimazione attraverso il massacro”. Erdogan, dice Ugur, si legittima tanto più calpesta i valori europei. Una condizione insostenibile, a cui solo l’Europa può mettere fine.

Ma Bruxelles ha paura del dopo Erdogan, visti gli scossoni che l’hanno attraversata dalla Brexit in avanti: “Non dovrebbe essere preoccupata che il regime dell’AKP si disintegri. Curdi e turchi hanno a cuore la democrazia ora più che mai. E l’Europa deve preoccuparsi di salvare la sua anima”.

Per l’ennesima volta, Bruxelles alla prova dei fatti non riesce a tenere fede ai suoi valori. Così le minacce di Erdogan fanno più notizia delle violazioni dei diritti umani in Turchia. “Il Consiglio europeo – continua il professore – molto probabilmente non sosterrà la decisone del Parlamento europeo. Nelle sue varietà di centro sinistra e centro destra, il paradigma liberale europeo è in ritirata contro gli autoritarismi, sia interni (si vedano Polonia e Ungheria) che esterni (la Turchia e l’America di Trump). Le elite finanziarie europee non si curano più della democrazia, dati il rispetto di ‘diritti di proprietà’ e l’esecuzione dei contratti”. Gli Accademici per la pace, il gruppo di cui Ugur fa parte, sono di sinistra, democratici, lontani anni luce dal movimento di Fehtullah Gulen. Eppure 83 di loro fanno parte della schiera di oltre 39mila accademici ancora in arresto (dati al 22 novembre, così come comunicati dalle autorità turche).

“L’AKP e il Movimento di Gulen sono stati partner per dieci anni, complici nell’uso della legge come strumento per avvantaggiarsi sui nemici, arricchire se stessi e i loro accoliti. La democrazia, lo stato di diritto, gli equilibri istituzionali sono stati decimati già prima del tentato colpo di Stato, quando AKP e Gulenisti governavano insieme”, aggiunge.

La repressione interna, intanto, non accenna a smettere. I partiti di opposizione sono decimati e i sindaci di una decina abbondante di comuni curdi sono illegalmente in arresto, compresi i primi cittadini delle città grandi, come Diyarbakir e Mardin. Naturale conseguenza di questa situazione è la nuova spinta irredentista che attraversa il Kurdistan. L’intervento della Turchia in Siria e in Iraq, prosegue il professore, “sta volgendo a suo favore e né gli Stati Uniti, né l’Europa sarebbero in grado di fermare Ankara da un’incursione nei Paesi confinanti”.

Secondo il professore, ormai, intorno a Erdogan si è costituito un nuovo “asse del male”. Insieme a lui, ne fanno parte Vladimir Putin e, soprattutto, Donald Trump. Il 30 novembre The Donald ha annunciato di voler risolvere i potenziali conflitti di interesse causati dalle sue aziende in patria. Difficile, però, che possa risolvere lo stesso problema all’estero. Soprattutto in Turchia. Qui Trump è proprietario di un impero, il cui simbolo sono le Trump Towers, due grattacieli che ospitano uffici e appartamenti di lusso. Trump, inoltre, è molto amico di Mehmet Ali Yalcindag, genero del proprietario della Dogan Media Group, il gruppo editoriale che ha pubblicato l’intervista ad Erdogan immediatamente dopo il tentato golpe in cui il presidente chiedeva ai turchi di scendere in piazza per difenderlo.

Secondo l’Huffington Post, Yalcindag era a New York per festeggiare la vittoria alle elezioni con The Donald. “Il regime dell’AKP ha alte aspettative dalla presidenza Trump – continua Mehmet Ugur -. Trump ha enormi interessi in Turchia e l’AKP è portato per l’arte di corrompere le elite europee in cambio di supporto politico contro gli oppositori. Ha già forti connessioni con l’entourage di Trump, il quale ha già dato segnali di voler chiudere un occhio sulle repressione nel Paese e molti analisti suggeriscono che questo sia da legare ai suoi interessi economici”. “La mia ipotesi – conclude il professore – è che i rapporti Turchia-Stati Uniti crescano floridi sotto Trump”. Motivo in più per chiarire in fretta la relazioni con Ankara, per l’Europa. “La Turchia – sostiene Ugur – sarà per Trump la carta da giocare per imporsi sull’Europa. Quindi l’Europa deve decidere in fretta sulla misura in cui vuole resistere alla pressione da parte dell’amministrazione Trump – e sulla misura in cui essa permetterà al regime dell’AKP di rinforzare la mano di Trump contro l’Europa”.