di Chiara Punzo
I governi italiani, dal 2007 in poi, si sono sempre vantati di non aver dovuto salvare le banche senza che questo abbia comportato problemi alla tenuta del sistema finanziario. Ma, due anni fa, nel 2014, i dati quantificavano le sofferenze nel sistema bancario italiano a 181 miliardi, in aumento del 21% da novembre 2013 a novembre 2014. Questo dato avrebbe dovuto farci considerare più criticamente le certezze dell’esecutivo, soprattutto alla luce degli stress test della BCE che rivelavano fin da allora forti criticità anche nel terzo istituto del Paese, il Monte dei Paschi di Siena (MPS).
Proprio MPS aveva d’altronde dovuto “accettare” l’unica e costosissima proposta di aiuto del governo di allora: i Monti bond. Un prestito convertibile di euro 4,071 miliardi all’incredibile tasso del 9% – unica soluzione offerta dallo Stato per evitare il rischio di insolvenza della banca senese.
Il Governo Monti aveva rifiutato di entrare temporaneamente nel capitale della banca, come fatto dal governo britannico per la Royal Bank of Scotland o per la Northern Rock, preferendo – per ragioni di opportunità politica, più che economica – la via di un prestito molto oneroso. In questo modo però non aveva favorito il risanamento dell’istituto, né sul piano finanziario, né della governance, ma aveva creato piuttosto le condizioni per i problemi successivi che mettono oggi, in maniera pressoché irreversibile, l’istituto senese di fronte ad un’unica soluzione: l’intervento del Tesoro.
Durante questi anni, la Banca ha tentato in diverse occasioni – con aumenti di capitale – di rendersi “contendibile” ridimensionando il ruolo ingombrante della Fondazione e dei piccoli azionisti. Gli strumenti sono stati i più diversi, dall’abolizione del tetto del 4% all’accorpamento delle azioni prima dell’aumento. Eppure, i presidenti della Fondazione che si sono succeduti hanno continuato a magnificare la dirigenza della Banca (il Presidente della Fondazione è eletto con i voti determinanti dei consiglieri nominati dal Comune e dalla Provincia di Siena). Nella provincia, erano in molti a rimproverare ai vari Presidente della Fondazione che si succedevano la colpa di non fare altro che approvare le decisioni della Banca: fusioni, aumenti di capitale e l’idea che la direzione della Banca fosse spostata da Siena visto l’ormai piccola quota di partecipazione nelle mani della Fondazione. Ma dalla Fondazione si rispondeva che il peggio era alle spalle, nonostante il fatto che prima della gestione Mussari-Mancini il capitale ammontasse a 17 miliardi di euro, mentre nell’aprile 2015 a 530 milioni di euro.
Il Governo in quel momento poteva intervenire con la costituzione di una “bad bank”, ma non lo ha fatto, aspettando una proposta di fusione mai arrivata. Perché? Perché le condizioni per la fusione non sono mai state chiare a nessuno.
In primo luogo, non è stato mai chiarito chi si sarebbe preso in carico 40 miliardi di euro di crediti in sofferenza risultanti dai bilanci MPS. E certamente, non sapremo mai quanti di questi crediti siano stati erogati senza adeguate garanzie reali.
Dubbio che ne solleva altri due: Uno. ma se funzionari e dirigenti autorizzavano, quale ruolo avevano Sindaci, revisori ed ispettori della Banca d’Italia nel relazionare? Due. Perché Giuseppe Mussari dopo aver “lasciato” la Presidenza del Monte dei Paschi di Siena con queste parole – “Questo non è il mio lavoro e non voglio confonderlo con la professione: tornerò a fare l’avvocato, che poi è quello che so fare. La politica? Non ambisco a tali vette e bisogna avere il senso dei propri limiti” – viene rinominato pochi mesi dopo Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, nonostante non fosse più Presidente di una Banca? In secondo luogo, nessuno rispondeva ad una fatidica domanda. A fusione consolidata, l’ente risultante acquisisce una nuova entità giuridica, con un nuovo patrimonio così come risultante dal bilancio di fusione. Ma se, per ipotesi, dopo la fusione, si fossero accertate altre somme, sottratte illegalmente dalle varie bande del 5% alla MPS SpA, una volta recuperate, queste sarebbero rientrate nel patrimonio del nuovo ente?
Ed arriviamo a oggi. L’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a gennaio 2016, rassicurava sul fatto che MPS fosse ormai risanata e rappresentasse un bel brand. Opinione condivisa anche dall’attuale Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan.
In Consiglio Regionale, il Partito Democratico toscano, insieme al Presidente della Regione, Enrico Rossi, rifiutavano qualsiasi ipotesi d’intervento pubblico, auspicando soluzioni di mercato. Ma, visto lo scenario descritto precedentemente, che non fosse all’orizzonte alcun intervento da parte di investitori privati era ovvio, e ampiamente previsto da chi segue la questione da tempo. Quindi, oggi, sono in molti a rimproverare alla Regione Toscana la colpa di non essersi adoperata prima a favore della strategia dell’intervento pubblico.
In questi giorni, siamo arrivati finalmente al punto: lo Stato dovrà intervenire direttamente nel salvataggio MPS. Ma l’inerzia ci è costata miliardi. Come abbiamo già scritto, in molti auspicavano un intervento del Tesoro, fin dal Governo Monti. Questo avrebbe potuto convertire gli interessi dei Monti bond in azioni, e quindi acquisire una quota di controllo significativa.
Partecipando ad un successivo aumento di capitale, avrebbe potuto acquisire una maggioranza di controllo per permettere alla banca di recuperare margini operativi e di efficienza, senza richiedere ulteriori tagli occupazionali e riportando il bilancio utile – così come era stato fatto per l’ILVA di Taranto.
Se questa scelta fosse stata fatta la scorsa estate, si sarebbe risparmiato al sistema bancario italiano la perdita di vari miliardi di capitalizzazione a causa della valanga di vendite da parte degli investitori esteri. Valanga che ha investito tutti i titoli bancari, anche quelli di banche sane come Intesa Sanpaolo.
Il Governo sarebbe potuto entrare, tramite un aumento di capitale, nell’azionariato dell’istituto. Ciò avrebbe permesso di sostituire i vertici, avviare un percorso di consolidamento finanziario e di individuazione delle responsabilità pregresse. Alla fine di questo percorso, si sarebbe potuta valutare la possibilità di rimettere sul mercato la banca MPS ristrutturata, preservandone i legami con il territorio. Questa sarebbe stata l’unica scelta del Governo per assumersi in parte la responsabilità politica – diretta o indiretta – per aver condiviso l’operazione Antonveneta.
Ed invece eccoci ancora qua, a chiederci che fine faranno i dipendenti del Monte dei Paschi di Siena ma anche quale sarà la sede della Banca. E, last but not the least, ci chiediamo che fine farà l’immenso e notevole patrimonio artistico del Monte dei Paschi di Siena.
Tutto quel capitale sociale che era stato costruito nei secoli in uno dei territori più floridi e meno diseguali della Toscana verrà messo in discussione.
Davanti a questa grave penalizzazione della città e del territorio, chi conosce la storia politica, sociale, culturale della Toscana, ed in particolare del contesto senese, si sarebbe aspettato una mobilitazione dell’intera città unita a difesa della propria banca. Ed invece sono prevalsi personalismi, provincialismo e poche pretese nei confronti della classe politica che ha diretto le operazioni della Banca. Come se tutti si sentissero in qualche modo colpevoli di ciò di cui avevano goduto negli anni passati, come posti di lavoro e sostegno alle associazioni locali (sanitarie, ludiche, culturali, artistiche). Gli stessi sindacati, impegnati attivamente nella difesa dell’occupazione, si sono risparmiati critiche all’intero sistema, critiche agli interlocutori che avevano di fronte quando sedevano ai tavoli di contrattazione.
Una cittadinanza, insomma, tanto discreta, tanto responsabile al punto da apparire complice. Eppure, il danno ricevuto è immenso. Il Monte dei Paschi di Siena poteva essere uno strumento fondamentale di sviluppo per l’intera economia italiana, proprio grazie alla particolare storia e cultura dal quale era nato.
L’operazione Antonveneta ed altre scelte irresponsabili fatte nello stesso arco di tempo hanno sottratto un’enorme ricchezza, accumulata nei secoli, ai cittadini senesi ed ai piccoli risparmiatori nazionali, rimasti imbrigliati nelle reti degli speculatori di professione. Oggi si chiede l’impegno degli obbligazionisti, e dei risparmiatori in genere, nella ricapitalizzazione della Banca. Molti accademici hanno “offerto” la propria consulenza a MPS in questi anni – ma che fine ha fatto la “responsabilità manageriale” descritta dettagliatamente nei manuali di economia, scritti anche da alcuni di loro, nel caso MPS? Noi, loro allievi, ce lo chiediamo. La provincia di Siena ha vissuto fasi storiche in cui si è sofferta la fame, e con fatica dall’economia agricola (“Paschi”, pascoli) si è passati ad un’economia industriale e fondata sul turismo. Questo passaggio è stato garantito soprattutto grazie all’attenzione nel concedere credito da parte del Monte dei Paschi di Siena, attenzione tipica della cultura del luogo. La fine del Monte dei Paschi non sarebbe soltanto una questione economica, ma un affronto alla cultura e alle tradizioni di quest’area. E viene il sospetto che non sia stato “il mercato, bellezza” che opera al di sopra delle parti a condurre sull’orlo del baratro, ma un succedersi di vere e proprie scelte politiche poco limpide e avvedute, anche imposte da lontano.