Il libro di Stefano Liberti, un progetto di giornalismo narrativo
di Christian Elia
Il viaggio di Stefano Liberti è stato lungo, quanto può esserlo quello necessario a un lavoro che disegna delle dinamiche globali. Cina, Stati Uniti d’America, Brasile, Ghana, per tornare negli spazi minuti di uno scaffale di supermercato, magari sotto casa.
Dei contenuti e delle dinamiche globali della mercificazione del cibo, su Q Code Mag abbiamo parlato nell’intervista a Stefano Liberti di Clara Capelli; in questo blog è di scrittura che si scrive, di progetti giornalistici che si prendono il tempo necessario a capire, raccontare, andare a fondo.
Il libro di Liberti, che segue altri ottimi lavori come A Sud di Lampedusa e Land Grabbing, tiene fede alle aspettative, recuperando una dimensione narrativa che molto spesso sfugge al giornalismo d’inchiesta.
Un vecchio modo di fare mette quasi in conflitto il ‘dato’, tipico dell’inchiesta, e la buona scrittura. Non è per niente detto che sia così, e questo libro è un buon esempio di come il recupero di una fase descrittiva, sobria e non barocca, è un valore aggiunto anche per una bella inchiesta.
Liberti, nel raccontare i luoghi, riesce a creare un meta livello di comprensione. Perché non sono solo i maiali a essere diventati ‘globali’, ma lo sono anche i paesaggi che ne occupano gli allevamenti intensivi. E descrivere le persone, elemento che ormai sembra quasi un inutile orpello, è parte integrante di un percorso narrativo.
Alla galleria dei personaggi della catena degli alimenti mercificati globali, fa sempre da controcanto una galleria di persone singole o in gruppi che si oppongono a questa deriva.
Liberti, gli va dato atto, non scade mai nella semplificazione. Non c’è una ‘nostalgia’ del passato, sempre e comunque. Anzi, sono molte le domande che sorgono di fronte a un modello economico che ha – per paradosso – aumentano il numero di coloro che hanno accesso al cibo.
Solo che anche nel cibo questo ha riprodotto una lotta di classe: solo i ricchi potranno mangiare bene? Potrebbero, oggi, miliardi di persone mangiare sempre bene e a chilometro zero?
Anche nella scrittura, Liberti osserva, viaggia, racconta luoghi e persone che vivono e animano questa catena, senza prendere una posizione. Ed è romantico il giusto il personaggio che si oppone alla globalizzazione, ma mai depositario della verità. E questo lo rende ancora più vero.
Ultima notazione che merita questo bel progetto di giornalismo narrativo, che è anche crossmediale, considerata la parte che è diventata un video e un webdoc, è quella della descrizione dei luoghi.
Spesso, troppo spesso, si scade in una retorica polaroid. Liberti usa lo spazio, raccontandolo, per narrare il fulcro del suo lavoro e come quel che viene studiato nell’inchiesta abbia un impatto anche sul territorio. Consigliato.