Una radio itinerante nata dal basso
che racconta le storie di migranti e profughi.
Dalla Grecia all’Italia per arrivare fino in Libano
di Sabrina Duarte, da Beirut
È un’insolita mite giornata di fine dicembre a Beirut. Il sole rende piacevole il breve viaggio fino al quartiere di Sabra, periferia a sud-ovest della capitale libanese, dove io e il mio collega abbiamo appuntamento con due amici, David e Samuel, per entrare nel campo profughi palestinese di Chatila. Durante il tragitto la mente vola ai numerosi articoli letti sui tragici fatti avvenuti in questa zona del Libano, tristemente nota per il massacro di un numero elevatissimo di palestinesi e sciiti libanesi, fra i 700 e i 3.500 a seconda delle stime, compiuto dalle falangi libanesi, con la complicità dell’esercito israeliano, nel 1982. Documentari, film e libri hanno raccontato quei drammatici fatti scandagliandone i più inquietanti e spietati dettagli: l’idea di entrare in un luogo carico di una storia tanto spaventosa e dolorosa, mi ha accompagnata lungo tutto il tragitto.
Ma ciò che mi accingo a raccontare non ha nulla a che fare con la morte: al contrario, sono la speranza, l’amore per l’altro, e la passione di un gruppo di giovani ragazzi, ad avermi portata a Chatila.
Samule e David sono due attivisti che, dalla primavera del 2016, insieme ad altri amici, mantengono in vita Radio Noborder, una radio web itinerante, incentrata sul tema dell’immigrazione. Il progetto nasce all’interno del campo profughi informale di Idomeni, sul confine greco-macedone. Ma, a causa dello sgombero dell’area, la prima trasmissione viene realizzata all’interno di un altro campo greco, quello di Eko, utilizzando un vecchio trasmettitore di Radio Popolare Milano e un’antenna autocostruita. “L’idea è far conoscere la realtà dei luoghi dove ci fermiamo, intervistando migranti e personalità locali per raccontare le loro storie e le loro difficili condizioni di vita”, racconta David mentre sistema computer e mixer per la prossima trasmissione.
Dopo l’esperienza in Grecia, la radio sbarca in Italia: prima a Como per raccontare le storie di centinaia di migranti africani rimasti bloccati sul confine italo-svizzero, e poi giù, nel sud, da dove trasmette una volta alla settimana coinvolgendo attivisti e migranti di zone diverse.
“Stavo lavorando in Grecia quando ho pensato di portare la radio in Libano”, racconta ancora David.
Il paese, con i suoi quasi 2 milioni di profughi siriani fuggiti dalla guerra, i circa 450 mila rifugiati palestinesi, più un numero variabile, a seconda delle stime, di rifugiati iracheni e sudanesi, è il luogo ideale dove portare una radio che vuole dare voce a chi vive da troppi anni in condizioni marginali e di povertà. A Chatila è una famiglia palestinese ad accogliere nella propria abitazione i due giovani e l’armamentario necessario per andare in onda. Non meno di dieci rampe di scale per raggiungere la casa; certamente l’altitudine è ideale per scattare qualche foto dell’intero campo dall’alto, ma dà l’idea anche di quanto l’area sia smisuratamente sovraffollata: 22mila persone vivono, o meglio sopravvivono, in 1 kmq circa e, per questo, i residenti sono costretti a costruire nuovi piani su case già di per se fatiscenti, con un elevato rischio di crollo.
Siamo in onda. David fa partire alcune canzoni dell’intramontabile Rino Gaetano alternandole con quelle della cantante americana Nina Simone, in attesa che arrivi Majdi, il proprietario di casa: è lui il personaggio da intervistare oggi.
Majdi ha tre figli, vive a Chatila da 30 anni ed è l’allenatore di due squadre di calcio, una femminile e una maschile, e una squadra di basket femminile: “Convincere le ragazze e soprattutto le loro famiglie non è stato facile”, racconta Majdi alla radio. “Per tradizione le donne arabe non possono praticare sport, ma con l’aiuto di mia figlia sono riuscito a coinvolgerle e a far capire ai loro genitori l’importanza del mio progetto”. Majdi parla quindi delle difficoltà dei palestinesi, a cui il governo libanese nega moltissimi diritti come quello di svolgere oltre 70 professioni. I giovani non sono quindi stimolati a continuare gli studi e più della metà abbandona la scuola. La mancanza di alternative porta invece le ragazze a sposarsi troppo giovani: molte hanno solo 14 o 15 anni. “Io voglio un futuro diverso per i miei figli, voglio che si appassionino ad altro, che siano stimolati, per questo motivo gli ho coinvolti, insieme ai loro amici e a molti altri ragazzi in questo progetto sportivo”, spiega Majdi.
L’intervista va avanti e fra una pausa e l’altra, ci si confronta e si scherza. David e Samuel, seduti intorno al tavolino su cui sono poggiati mixer, microfono e computer, sono circondati da molti giovani.
Sono i figli di Majdi e molti altri ragazzi di Chatila, incuriositi dall’ultima novità entrata al campo: una radio che gli permette di parlare dei loro problemi, ma anche dei loro sogni. Un progetto stimolante per tutti loro che non finirà con questa giornata “L’idea – conclude David – è quella di lasciare qui un mixer in modo che i ragazzi possano utilizzarlo e continuare a raccontare al mondo la loro realtà”.