Una comunità culturale offre una nuova prospettiva a un territorio siciliano piagato dalla criminalità organizzata
di Flavia Zarba, tratto da L’Huffington Post
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” cantava De Andrè. Ed è proprio quello che a Favara, paese dell’entroterra siculo, in provincia di Agrigento, noto alla cronaca locale per sgarri tra cosche mafiose è accaduto.
Il bello, l’arte, la cultura allontanano la mafia e la criminalità, si sa, ma le domande che sorgono spontanee dinnanzi a un contrasto tanto palese è come sia stato possibile costruire un’isola felice nel bel mezzo di palazzi fatiscenti e traffici illegali.
La Farm nasce infatti grazie all’iniziativa di una coppia, il noto notaio Andrea Bartoli e sua moglie Flò che, stanchi di vivere in uno scenario tanto triste e alla disperata ricerca di un posto a cui poter donare il proprio apporto e da cui poter attingere creatività, hanno pensato di crearselo su misura anziché fuggire. Oasi felice, dunque, in un territorio tanto controllato da poteri mafiosi?
Denaro, tempo, passioni e network sembrano essere state, a detta dei creatori, le sole parole chiave per un tale progetto, il tutto condito da una buona dose di entusiasmo e senso di onnipotenza e convinzione. Ma, così come un bambino che nasce nelle baraccopoli e viene cresciuto in una metropoli, la difficoltà più grande è stata sicuramente quella di educare la popolazione locale a questa ventata di innovazione culturale. E senz’altro non è stato e non è facile.
In tanti fanno parte della nuova comunità culturale perché hanno continuato a vivere all’interno della zone mostrando spirito di adattamento alla trasformazione artistica. Molti altri invece non accettano e non riescono a capire il nuovo mondo perché non hanno gli strumenti cognitivi per poterlo fare.
“Come si puó pretendere da chi non ha mai preso un aereo, visitato un museo, letto un libro, che possa capire cosa stiamo facendo alla Farm?”
Questo è stato uno dei commenti del direttore artistico, Andrea Bartoli, che non ha negato il contrasto evidente tra l’ignoranza locale refrattaria al cambiamento e le nuove prospettive economiche e di confronto che ogni giorno si moltiplicano grazie a persone che arrivano da tutto il mondo per visitare il Cultural Park.
Ma in fondo, non vi è chi non sappia che la Sicilia, per via del controllo dei poteri forti e delle infiltrazioni mafiose, preferisce investire i soldi in ben altro, senza curarsi delle svariate necessità culturali o di valorizzazione del patrimonio artistico.
Ecco perché “della realizzazione di un progetto tanto ambizioso non se ne è occupata e non se ne occupa l’amministrazione locale che non ha avuto alcun ruolo in merito alla realizzazione della Farm. Poteri forti e mafia coincidono quando impediscono per dolo, colpa, negligenza e incompetenza lo sviluppo di quest’isola. Farm non ha nulla a che fare con quel tipo di mondo. Solo così siamo stati in grado di generare tanto valore”, precisa il fondatore, “in quest’ultimo anno la Farm ha infatti subito una serie di attacchi finalizzati a screditarci o spaventarci, ma noi siamo più forti di loro. Non ci fanno paura” conclude.
E intanto, c’è chi continua a sperare che, questo coraggio, questa forza di cambiare le cose non si estingua nel breve periodo – come ritengono i tanti scoraggiati dalla realtà dell’entroterra agrigentino – e chi, (soprattutto volontari, artisti e architetti) continua a lottare affinché Favara si trasformi in un esempio di “piccola multinazionale di rigenerazione urbana e culturale” per tutta la Sicilia.