La transizione nel Paese è avvenuta senza spargimenti di sangue. Ma a che prezzo?
di Giovanni Culmone
La fine della dittatura in Gambia è stata annunciata con un tweet dal neo-presidente Adama Barrow. Non ci sarebbe potuto essere finale migliore per un presidente, Yahya Jammeh, che ha sempre considerato internet una minaccia al suo potere.
I would like to inform you that Yahya Jammeh has agreed to step down. He is scheduled to depart Gambia today. #NewGambia
— Adama Barrow (@adama_barrow) 20 gennaio 2017
La “smiling coast”, così è chiamato il Gambia per via del suo turismo balneare, questa volta può sorridere davvero. Sono molti però i punti interrogativi sul destino di Jammeh, del Gambia e del mosaico africano.
UNA LEZIONE PER TUTTI
In Gambia si è evitato il peggio. Dopo essersi barricato nella sua residenza per due giorni, con le truppe dell’ECOWAS (Economic Community of West African States) che avanzavano nel Paese e i fedelissimi al suo fianco che diventavano sempre di meno, Jammeh ha deciso di fare un passo indietro.
Quella gambiana è stata una vera e propria rivoluzione democratica, dove la popolazione, dopo decenni di dittatura, ha deciso di non avere più paura del suo padrone.
Ma la libertà ha un costo e dover scegliere è anche una fatica, scriveva Kant alla vigilia della rivoluzione francese ne Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo. Fatica tanto desiderata quanto irraggiungibile per un popolo che per 22 anni è stato in balia di un leader bizzarro e oppressivo.
La resa di Yahya Jammeh mostra che la fine di una dittatura non deve per forza bagnarsi di sangue.
Che nessuno avesse voglia di dare il via all’ennesima guerra civile in Africa si poteva capire dalle dichiarazioni del capo della sicurezza del governo: “Nessuno vuole morire per questa situazione. Questa è una crisi politica e va risolta con la politica”. Un’affermazione che a molti potrebbe risultare banale, ma che non lo è. Sono molte le realtà africane che, nella stessa situazione, sono piombate o sono tuttora sull’orlo delle guerra civile. Dal Burnudi sono fuggite 250.000 persone in seguito alle repressioni del governo di Pierre Nkurunziza, che voleva candidarsi per il terzo mandato. Centinaia i morti.
Ultima in ordine di tempo è stata la Repubblica Democratica del Congo dove molte persone sono morte a seguito degli scontri con la polizia, proprio perché il presidente in carica, Joseph Kabila, non voleva cedere il potere.
Questi sono solo gli ultimi, il mosaico africano è pieno di “dinosauri” al potere. Nella Guinea Equatoriale, proprio dove Yahya Jammeh si è rifugiato, il presidente Teodoro Obiang Nguema Mbadogo è in carica da 37 anni. Omar al Bashir è a capo del Sudan dal 1993. La dittatura di Isaias Afewerki va avanti dal 1991.
Dittature con le quali i Paesi occidentali fanno tuttora accordi per risolvere la questione migratoria, in un cerchio senza fine. Ed è proprio considerando questo mosaico che il tassello del Gambia diventa così importante: un precedente storico ha dimostrato che una transizione di potere pacifica è possibile.
IL CANTO DEL CIGNO DI JAMMEH
“Nessuno sta parlando di persecuzione – ha dichiarato il neo presidente Adama Barrow al suo arrivo a Banjul dopo aver atteso la partenza di Jammeh – stiamo parlando di una Commissione di verità e riconciliazione” per processare eventuali crimini commessi da Jammeh nei suoi 22 anni di dittatura. “Per agire devi sapere la verità”, ha aggiunto il presidente nella giornata di domenica, prima di venire a conoscenza di come Jammeh ha dato l’addio al suo Paese. Auto di lusso caricate nell’aereo e 11 milioni di dollari che mancherebbero dalle casse dello Stato: questo il canto del cigno del dittatore.