La recensione del documentario di Anna Roussillon Je suis le peuple, sul periodo 2011-2013 in Egitto visto dalle campagne del sud
Di Clara Capelli
Ena ash-sha’b la ‘arifu al-mustaHil. Io sono il popolo, non conosco l’impossibile, cantava in una celebre canzone quell’icona che è stata Oum Kalthoum per l’Egitto e per tutta la regione. Quando le prime proteste scoppiarono nel gennaio 2011, sembrava davvero che nulla fosse impossibile per il popolo egiziano.
Lontano dall’Egitto e da Piazza Tahrir, la giovane realizzatrice francese, Anna Roussillon seguiva trepidante gli eventi, lei che aveva lasciato il Paese appena pochi giorni prima. “Ma di che ti preoccupi? La rivoluzione la puoi vedere in tv!” le risponde nonostante la connessione Skype a singhiozzi l’amico Farraj, contadino della regione di Luxor che Anna aveva conosciuto nei suoi precedenti viaggi.
Lontano anche lui, come lei, dalla Storia che si sta facendo al Cairo.
Nell’estate del 2011 Anna Roussillon deciderà di girare un documentario “sulla rivoluzione là dove ero arrivata”, seguendo per quasi tre anni Farraj e la sua famiglia tra vita quotidiana e cambiamenti politici. Je suis le peuple, uscito nelle sale l’anno scorso e distribuito in dvd da Dock(s)66, è un racconto per immagini che fa da perfetto complemento a opere come The Square, un’etnografia sulla vita di un villaggio della campagna egiziana – economicamente arretrato ma connesso al mondo attraverso i cellulari e l’onnipresente televisione – di fronte ai sommovimenti della transizione politica.
Farraj e i suoi compari osserveranno dagli schermi della televisione le proteste contro lo SCAF, dicendosi che “sarebbe bello partecipare, ma poi chi bada ai campi?”, voteranno alle elezioni del 2012, discuteranno senza mai prendersela troppo nonostante le diverse opinioni, assisteranno – limitandosi a prendere parte a qualche manifestazione a Luxor – alla proteste che condurranno alla caduta di Morsi e all’ascesa di Sisi.
I cicli della natura continueranno nel frattempo a succedersi, tra lavori in campagna, il pane da preparare e nuovi nati che arrivano.
Farraj, inizialmente un simpatizzante dei Fratelli Musulmani pur di non permettere il ritorno degli uomini del vecchio regime, si troverà a cambiare a poco a poco idea di fronte all’insoddisfacente governo di Morsi, tra prezzi che aumentano e una situazione generale che non migliora. Uomo dalle tiepide passioni politiche, non si lascia conquistare da nessuna ideologia, rimanendo un quieto e divertito osservatore della Storia. E così i suoi amici, i suoi vicini, i suoi familiari, da chi non vota perché “se vince l’altro candidato e mi viene a prendere io che faccio?” alle donne che continuano a pregare affinché Anna finalmente si sposi e abbia dei figli.
Come in molti hanno osservato, nessuno è un rivoluzionario, ma nemmeno un bieco conservatore nostalgico del regime.
Un popolo meno mitico di quello cantato da Oum Kalthum, ma cui il lavoro di Anna Roussillon restituisce voce e dignità.