Bao pubblica l’ultimo graphic novel di Zeina Abirached, racconto in parallelo tra l’autobiografia dell’autrice e la storia di un’invenzione in grado di unire Oriente e Occidente nel segno della musica.
di Luca Rasponi
Nell’epoca dei nuovi muri, c’è ancora qualcuno che costruisce ponti. E lo fa con una leggerezza uguale e contraria alla bestiale superficialità dei leader politici che incitano le masse a odiare il diverso. Il piano orientale di Zeina Abirached è esattamente questo: un inno alla faticosa e gratificante gioia di costruire ponti, di creare legami attraverso immagini, musica e parole.
Il graphic novel appena pubblicato da Bao sorprende da subito, per la voglia che sembra avere l’autrice di far uscire dalla pagina suoni ed emozioni che trasudano dalle sue scene. Un trionfo del lettering che ricorda Habibi di Craig Thompson, in un mare di bianco e nero a là Marjane Satrapi.
Ma ovviamente non è tutto qui, perché l’autrice ha uno stile estetico e narrativo tutto suo, che si esprime in un tono leggero e sognante, nella ripetizione dei motivi grafici, in una stilizzazione dei personaggi che ne esalta l’espressività, invece di appiattirla.
Il piano orientale è la storia di Abdallah Chahine (Kamanja nel fumetto), musicista e accordatore di pianoforti nella Beirut degli anni ’50. Dopo aver scelto di dedicare la sua vita alla musica, Abdallah ha soltanto un sogno: riuscire a realizzare lo strumento che dà il titolo all’opera, modificando un pianoforte occidentale in modo che possa suonare anche il quarto di tono della musica orientale.
Uno strumento che ha un valore simbolico evidente nella capacità di coniugare le due culture senza che nessuna debba rinunciare a qualcosa di sé stessa: un processo che richiede impegno e fatica, tanto che Abdallah arriva a realizzare la sua invenzione dopo anni di tentativi.
L’autrice però non si sofferma sulla frustrazione per i fallimenti, sulle difficoltà del percorso, sulla tensione verso l’obiettivo.
Quello che emerge dal racconto è la curiosità, il piacere di intraprendere un cammino, di fare qualcosa di costruttivo. La voglia di scambio e contaminazione, la volontà di alimentare un dialogo e divertirsi insieme di fronte alle differenze.
La stessa atmosfera che pervade l’altra storia al centro del graphic novel, ovvero l’autobiografia dell’autrice tra Beirut e Parigi, tra l’arabo e il francese entrambi imparati in famiglia. Come la musica di Abdallah, le parole di Zeina sono un arazzo in cui le due culture si intrecciano, producendo una trama nuova, unica e originale.
La Francia diventa il luogo della scoperta e il francese la lingua dei sogni, mentre sono in arabo le notizie spesso tragiche che attraversano un Libano dilaniato dalla guerra civile. Ma anche qui, nonostante fatti e circostanze che potrebbero suggerire toni drammatici, il racconto procede leggero, spensierato, come i riccioli di Zeina che catturano magneticamente lo sguardo.
Nelle pagine de Il piano orientale ci si immerge come in un mare di elementi decorativi e dettagli, dove i margini vengono sistematicamente ignorati, in un’atmosfera di libertà che strappa più di un sorriso, accompagnando situazioni narrative divertenti a brillanti soluzioni grafiche.
Dopo 200 pagine di questa allegra sinfonia, viene spontaneo chiedersi: ma è davvero così difficile dialogare?
Probabilmente sì, visti il tempo e la fatica che impiegano Abdallah per costruire il suo piano orientale e Zeina per abituarsi a vivere in due Paesi e parlare due lingue.
Ma ogni tanto è anche bello sognare, pensare che in fondo basterebbero solo un po’ di curiosità e un minimo di entusiasmo per non chiudersi di fronte agli altri. E che in fondo, tra muri e fili spinati, almeno ci resterà la musica.