Atene, tra coloro che son sospesi

Tra Elliniko Camp e Hotel Plaza: la capitale greca e i richiedenti asilo

di Christian Elia, da Atene

Il tabellone è ancora là. Indica i ‘voli nazionali’, lettere e numeri alla rinfusa, ma si riesce ancora bene a leggere un ‘Santorini’ che non partirà mai più. Elliniko Camp, ad Atene, è una promessa mancata. Per la Grecia, per l’Europa, per migliaia di vite sospese.

Ieri prometteva di essere la celebrazione finale di un cammino, una sorta di arco di trionfo per la corrotta classe politica greca. Le Olimpiadi del 2004 come un immenso gioco delle tre carte, di amministratori cinici e bari, collusi con chi doveva controllare. La Grecia che si lasciava alle spalle la cartolina rurale per turisti, irrompendo negli anni Duemila, con tutte le con tutte le credenziali fittizie di un benessere posticcio alimentato da aiuti e credito facile.

Le Olimpiadi, oramai, non le ricorda più nessuno. Una scaletta, con una statua in cima, ricorda più un pezzo da museo delle cere che un evento mondiale. Gli stadi del complesso sono oggi collegati a ben altre attività: nell’impianto dell’hockey visite ginecologiche, quello del baseball serve per distribuire abiti a chi ne ha bisogno.

foto di Alfonso Della Corte

Lo psicologo dell’organizzazione non governativa di turno riceve in una stanza allestita nel vecchio terminal dell’aeroporto, dove si provvede anche alla distribuzione del cibo.

E poi Skype. Perché, come spiega un testo affisso in bacheca in tutte le lingue di Babele, bisogna prenotare il proprio colloquio. Ecco che la modernità si manifesta come limite, barriera.

Sei riuscito a venir via dalla Siria e dall’Afghanistan, non ti hanno avuto Daesh e Talebani, sei scampato alle bombe russe e americane. Ma non è detto che la connessione, quel giorno, funzioni. E’ nei tuoi quindici minuti, se sei fortunato, la linea c’è. Ed è in quel momento che ti devi giocare la vita.

GUARDA LA GALLERY: foto di Francesca Brusori – Elliniko Camp

Tutta la vita. Quella precedente, che hai messo sul tavolo della partita a scacchi con la morte, tra mare e montagne, per arrivare fin qui. E quella futura, che hai sognato mille volte, ma che un accordo tra Turchia e Ue ha ridisegnato per te. Perché in Grecia, prigione a cielo aperto dell’accordo di Dublino, che confina i richiedenti asilo nel paese di arrivo, è il collo di bottiglia dove restano le anime sospese.

Ci sono le isole, ci sono i campi in Grecia e c’è Elliniko Camp. Non è detto che ci sia ancora a lungo, perché il centro è in un posto delizioso, vista mare, dove è pronta un’immensa speculazione edilizia che vuole immaginare qui la Barceloneta della capitale ellenica.

Per ora ci sono loro, centinaia di famiglie, alloggiate in tende. Sono quelli che aspettano la loro connessione Skype, che li condannerà a tornare in Turchia, paese sicuro solo perché lo paghiamo profumatamente con i soldi dei contribuenti europei. Può essere anche insicuro, con quel che ci costa. E dei respinti sia quel che sia.

foto di Alfonso Della Corte

Gli altri, bene che vada, resteranno in un paese impoverito e ferito, che tenta di restare a galla con dignità. Il campo è civile, anche se il grande freddo dell’inizio 2017 ha fatto male anche qui, ma oggettivamente, tra la scuola per i piccoli e i servizi per gli adulti, cosa chiedere di più a un paese sull’orlo della bancarotta perenne? Un paese ricattato, che appena alza la testa per chiedere all’Ue di condividere il peso dell’accoglienza viene minacciato di tagli agli aiuti?

Nei volti delle persone che vivono qui, che sorridono, che si vanno a lavare o a cercare una giornata di lavoro in centro, c’è una serena rassegnazione. Le tende poste in cerchio, con un fornello da the nel mezzo, a volersi sempre ricordare di essere umani, per ricreare sogni di piazze lontane.

Se Elliniko è il volto dell’accoglienza istituzionale, l’Hotel Plaza, in centro, è quello dell’accoglienza solidale, dal basso, partecipata e condivisa. Un hotel che la proprietaria, una di quelle del club affari-politica, che i gialli di Markaris rappresentano in modo ineguagliabile, ad aprile 2016 ha avuto un sussulto: richiedenti asilo e famiglie, supportati da attivisti di Atene, hanno rotto i catenacci e sono entrati.

Aiutati, si dice, dai vecchi dipendenti del Plaza, che era stato messo in liquidazione. Tanto parlare di tensione e razzismo, ma in fondo ogni tanto tra i dannati della Terra ci si riconosce a vista.

Nassim è afgano, di Ghazni. E’ qui dal 1995, ormai lui è tranquillo. “Ma come potevo vederli per strada, stretti gli uni agli altri, guardarsi attorno in una città che non conoscono, senza conoscere la lingua? Loro sono io, io sono come loro”. Da anni attivista dei diritti civili, Nassim è un po’ il punto di riferimento dell’occupazione.

Sono circa 400 persone, che abitano secondo i nuclei familiari nelle vecchie stanze dell’hotel. Come per Elliniko, il Palza racconta storie e passaggi, migrazioni e movimenti. La storia dell’umanità, in buona sostanza, solo che si sono quelli che la vorrebbero selezionata per colore, fede, passaporto e via dicendo, a seconda delle ere storiche.

Sicurezza alla porta, reception, bar per autofinanziarsi. E la mensa, con piatti caldi e ricchi, che a guardar gli occhi dei bambini che aspettano il loro turno capisci cosa può essere la fame.

GUARDA LA GALLERY: foto di Francesca Brusori, Plaza Hotel

Siriani, afgani, pakistani, iraniani. Che vogliono raccontarsi e con l’aiuto dei volontari internazionali hanno creato un blog dall’Hotel. Le Nazioni Unite della speranza e della povertà, del dolore e della fuga, dei nuovi inizi e della precarietà. Al loro fianco un gruppo di attivisti greci e internazionali. La bella Vittoria, da Torino, e l’albanese Sokol, artigiano che si occupa di un po’ tutto.

“Son divorziato, con due figli. E’ dura, durissima arrivare a fine mese”, racconta Sokol, mentre mostra orgoglioso l’organizzazione del Plaza. “Ma io sono albanese, qui in Grecia ho potuto cambiare la mia vita. Perché loro non dovrebbero volere altrettanto. Io credo che poi, in fondo, se tutti avessero quel che gli serve non partirebbe nessuno. Ma questo non lo puoi pensare se c’è la guerra”.

Sokol è allo stesso tempo pronto ad aiutare tutti e a rimproverare chi non si prende le sue responsabilità. “E’ difficile, non puoi pretendere da chi è cresciuto in società senza libertà di essere subito pronti a prendere in mano la loro vita. Ma mi arrabbio, mi confronto con loro, quando si lasciano vivere, quando non si occupano dei loro bambini. Sarò fatto a modo mio, ma bisogna essere diretti e sinceri, per trattarsi davvero alla pari”.

E’ in corso un’assemblea, per preparare le manifestazioni del 18 marzo, un anno dopo gli accordi con la Turchia. Ci saranno manifestazioni in Grecia e in tutta Europa.

foto di Alfonso Della Corte

Molti attivisti arrivano da fuori, alcuni inquilini partecipano, ma non tanti. “Molti di loro sono ancora convinti che è solo questione di tempo, che son qui di passaggio”, spiega Sokol. “Mi sento male se penso a quelli che non hanno colto che qui possono restarci per decenni e devono prenderselo il loro futuro”.

Fuori dal Plaza, Atene sopravvive. Una manifestazione ogni giorno, odore acre di lacrimogeni nell’aria, il quartiere di Exarchia chiuso come un fortino di resistenti, ma che guarda al mondo intero. E Alba Dorata con il suo nazismo straccione, che anela a quella ‘razza’ che è stata ricacciata a calci nel sedere dai partigiani greci.

Alba Dorata, sopravvissuta più o meno alle bufere giudiziarie, che aspetta di raccogliere alle elezioni la rabbia che soffia nel sistema nervoso del Paese.

“Non so che succederà”, è quel che ti dicono in tanti. I delusi di Tsipras, che “gli avevamo creduto quando ci ha detto è ora di cambiare”, la sinistra numerosa e motivata, ma divisa atavicamente, la socialdemocrazia del Pasok morta di corruzione e collusione con le politiche neoliberiste, il centrodestra di NeaDemokratia che ha contribuito più di tutti al collasso, ma conta di vincere la lotteria del ‘meno peggio’. Su tutto questo l’Ue, i suoi errori, la sua austerity. La perdita di umanità.

Il prossimo 20 febbraio, concretamente, è un’altra delle stazioni della Via Crucis della Grecia. Il Fondo Monetario Internazionale, nel suo report annuale, ha sottolineato come il debito pubblico greco (il 180 percento del PIL) metta a rischio il 3° pacchetto di aiuti economici ad Atene. L’Ue, preoccupata dalle sue tornate elettorali, non vuole altre crisi e dipinge un quadro gestibile. Se Fmi e Ue non trovano l’accordo il 20 febbraio prossimo, la situazione greca potrebbe peggiorare.

Mentre la Grecia tiene duro, cercando di non implodere, restando umana, provando a non diventare il teatro di una guerra tra poveri che – a volte – sembra essere l’obiettivo di chi non muove un dito per sbloccare questa situazione.