L’omicidio di un presidente, la vita di una donna
Di Pablo Larrain, con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt, John Carrol Lynch, Beth Grant, Jack Valenti, Caspar Phillipson. Premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Venezia 2017, tre candidature agli Oscar 2017. Nelle sale
di Irene Merli
Cinque giorni dopo l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, alla casa di famiglia di Hyannis Port bussa la grande stampa. Theodore H. White, reporter di Life, è arrivato per parlare con Jackie, per chiederle un resoconto il più possibile dettagliato e intimo sui fatti di Dallas.
E sigaretta dopo sigaretta, in un’assolata giornata d’autunno, Jackie gli racconterà la “sua” verità, la storia che vuole consegnare al mondo sulla favola tragica che aveva portato lei e JFK prima alla Casa Bianca e poi, dopo neanche tre anni, su quella dannata berlina nel cuore oscuro del Texas.
Mentre è ancora offuscata dall’improvviso dolore, la giovane vedova si rende conto che grava sulle sue spalle la responsabilità della memoria del marito.
L’ha visto accasciarsi sulle sue ginocchia, raggiunto da una pallottola al collo e una alla testa, era accanto a lui all’ospedale con l’abito macchiato di sangue. E decide subito che non può finire così, dimenticato in pochi giorni: qualcuno deve portare a termine la sua storia e non può essere che lei a farlo, l’icona che poi tutto il mondo ricorderà con il solo nome di battesimo: Jackie.
Larrain, Il grande regista cileno di Tony Manero, Post Mortem e Il club, costruisce il suo film in questo breve spazio temporale: l’intervallo tra l’assassinio di JfK e il ritiro di Jackie dalla vita pubblica.
E intesse la narrazione tra storia e finzione, come aveva già fatto in Neruda. Anche perché di verità assolute, documentali su Jacqueline Bouvier Kennedy non possono esservene, al di fuori delle fotografie, delle interviste e dei servizi televisivi (come quello, celebre, in cui fece il tour della Casa Bianca con la Cbs per mostrare agli americani come l’aveva rinnovata).
Larrain sposta l’attenzione dai fatti storici, che tutti conosciamo, alla figura di una enigmatica giovane donna, elegantissima, determinata nella gioia e nel dolore a lasciare un segno nell’anima dell’America, per cercare di capire cosa può aver provato nei giorni successivi a Dallas.
Con gli occhi del mondo puntati addosso, regina senza corona privata in un sol colpo di trono e marito, madre che doveva preoccuparsi del futuro di due figli piccoli mentre il vicepresidente già giurava sull’aereo che riportava lei e il feretro a Washington.
Jackie posa lo sguardo sui non detti e li immagina, li inscena, li racconta. Con un abile mix di tecniche e registri va avanti e indietro nel tempo per mostrarci una donna che conosceva bene l’importanza di un vestito e della stampa per creare l’immagine di una moderna Camelot, ma nell’assoluta disperazione si rivela una stratega politica che in sette giorni riuscirà a consegnare il corpo dell’ex presidente al suo popolo in una memorabile cerimonia funebre di cui da sola decise ogni dettaglio, senza nulla lasciare al caso, come sempre aveva fatto nella sua vita pubblica.
Anche se questo significò andare contro la volontà della famiglia Kennedy, le regole del protocollo e le esigenze della sicurezza.
Jackie, come ha dichiarato il suo regista, è un film fatto di frammenti, brandelli di ricordi, luoghi, immagini, idee, persone.
Con una fotografia magistrale e una capacità di immaginazione potente e stratificata che non vuol essere memoria, ma rappresentazione di una leggenda vista nelle sue molte sfaccettature.
E una protagonista, Natalie Portman, che impressiona vestita con gli abiti della first lady, pettinata come lei, con la voce impostata sulla sua, perché davvero incarna Jackie, il simbolo e la donna, con profonda credibilità e naturalezza. Sarà suo l’Oscar domenica sera? Glielo auguriamo. Come auguriamo una lunga e sempre più prolifica vita artistica al grande Pablo Larrain.