Merci Patron! Come si inganna il capitale

Un documentario racconta come finanza e delocalizzazioni abbiano impoverito il nord della Francia. Ma un giornale indipendente troverà il modo per ingannare il capitale e aiutare una famiglia di operai rimasta senza lavoro

Di Clara Capelli

Potrebbe sembrare un film di Ken Loach e invece siamo nel nord della Francia. Il documentario Merci Patron! – vincitore del Premio César 2017 nella sua categoria – racconta infatti di un altro dei tanti gironi postindustriali balzati all’attenzione pubblica negli ultimi anni come bacini di sofferenze socio-economiche e vivai di populismo.

François Ruffin, fondatore e caporedattore della rivista di sinistra Fakir, intraprende un viaggio fra imprese tessili in difficoltà o abbandonate, particolarmente interessato alle conseguenze delle scelte di ristrutturazione finanziaria e delocalizzazione del gruppo LVMH (proprietario di marchi quali Louis Vuitton, Bulgari, Fendi, Kenzo, Sephora, etc.). Il presidente e amministratore delegato è Bernard Arnault, uno degli uomini più ricchi del pianeta, che qualche anno fa diede scandalo cercando di prendere la cittadinanza belga per sfuggire al meno generoso fisco francese.

Tra fabbriche in disuso e operai che sembrano una versione postindustriale dei Mangiatori di Patate di Van Gogh, Ruffin fa la conoscenza della famiglia Klur.

Serge et Jocelyne hanno lavorato per anni alla Ecce, una filiale di LVMH che produceva completi per Kenzo fino a quando non viene delocalizzata in Polonia dove la forza lavoro costa di meno, garantendo margini di profitto più alti. Rimasti disoccupati e non più giovanissimi, la coppia e il loro figlio vivono con circa 400 euro al mese, risparmiando su tutto, dal riscaldamento al cibo. A causa di un incidente stradale fatto da Jocelyne, la famiglia Klur si trova messa alle strette: o saldano il debito di 30.000 euro contratto con l’assicurazione, oppure la loro casa verrà pignorata.

 

 

Ruffin decide quindi di dare una svolta al documentario e concentrarsi sulla vicenda dei Klur. Non solo, li aiuterà a fare pressione su LVMH e la dirigenza di Arnault, minacciando di raccontare la tragica storia della coppia e darle visibilità tale da creare uno scandalo. LMVH, ancora nell’occhio del ciclone per il tentativo di Arnault di trasferire il proprio patrimonio in Belgio, cederà con impressionante facilità, cadendo in una serie di argute trappole preparate da Ruffin.

La lotta di classe fra il Davide proletario, aiutato dalla redazione di Fakir, e il Golia capitalista si conclude con un gioioso barbecue in cui si ringrazia ironicamente Bernard Arnault sulle note della canzone degli anni 70 Merci Patron del gruppo Les Charlots cui il titolo del documentario si ispira.

Merci Patron!, uscito nel febbraio 2016, ha avuto un grande successo di pubblico in Francia, mettendo a nudo la mancanza di scrupoli delle grandi multinazionali, unicamente interessate al profitto a scapito del lavoro. La facilità con cui LVMH accetta la proposta dei Klur pur di non guastare la propria immagine ha scosso molti spettatori. Il documentario è stato spesso proiettato in occasione delle manifestazioni Nuit debout – di cui Ruffin è stato un importante animatore -, riportando sul tavolo la questione dei grandi patrimoni e dei privilegi di cui questi godono.

Non sono dall’altra parte mancate critiche e polemiche.

L’autore del documentario è stato accusato di avere speculato sulla vicenda dei Klur e cavalcato lo slancio di Nuit debout per promuovere Merci Patron! e Fakir. Inoltre, molti non hanno gradito i toni sovente paternalistici di Ruffin, figura dominante nella storia, nei confronti di Serge e Jocelyne. Anche l’approccio da lui adottato nei confronti della questione di classe ha fatto storcere diversi nasi, non solo per il fatto di concentrarsi solo su una storia di riscatto “individuale” (degli altri ex colleghi di Serge e Jocelyne nulla viene fatto sapere) ma anche e soprattutto per il metodo seguito, basato su un trabocchetto teso al capitale, non certo su una lotta politica strutturata.

Merci Patron! ha comunque il grande merito di avere mostrato a un pubblico piuttosto ampio cosa significhi nella vita quotidiana promuovere il business e le multinazionali con sgravi e incentivi a scapito del lavoro. È una ricetta politica che crea sì crescita, ma solo per pochi. Agli altri resta la rabbia, oppure la fortuna o l’ingegno per aggirare il sistema e garantirsi qualche briciola.

Una lezione da tenere a mente per chi è interessato a seguire il dibattito sulle prossime elezioni presidenziali in Francia.