Haiku e Saké – in viaggio con Santoka

Il viaggio di Susanna Tartaro per le strade di Roma in compagnia di un monaco zen

di Enza A. Moscaritolo

Una dichiarazione d’amore per Roma in versi. Mica una novità, potrebbe pensare qualcuno. E invece no. Perché questa volta il lirismo ha il profumo del sakè, tipica bevanda alcolica giapponese.

Susanna Tartaro, che lavora a Radio3 e da anni cura Fahrenheit, storico programma di “libri e idee”, ha pubblicato Haiku e Saké per la collana Incendi (Add Editore) in cui compie un viaggio di dodici tappe, grazie al mondo degli haiku e dei suoi girovaghi autori.

L’autrice, infatti, ama Roma ma al tempo stesso gli haiku, micropoesie giapponesi fatte di 3 versi e 5-7-5 sillabe, in cui si racchiudono – miracolosamente – saggezza e dolcezza, sapere e fantasia, “senza mai essere sentenziosi, né giudicare”, come ha spiegato al pubblico della Biblioteca Comunale di Poggibonsi (SI) in un incontro gremito curato dall’associazione “La Scintilla”.

Lo haiku ebbe il suo apice tra il Seicento e il Settecento, ma è un genere diffuso ancora oggi e sono tanti gli autori, anche non giapponesi, che si sono cimentati con la sua scrittura.
Ha la straordinaria efficacia della brevità grazie alla quale riesce a costruire immagini dalla forza evocativa potentissima. Tartaro sostiene che sia – senza volerlo – un incrocio tra Twitter e Instagram ante litteram.

Questi versi appartengono a San To Ka “Alta Cima Fiammeggiante”, autore, poeta di haiku, amante del sakè, non ancora tradotto in italiano. Un personaggio decisamente sui generis che l’autrice ha elevato a personalissimo cicerone per le strade di Roma, nelle pause al semaforo in sella al motorino: “Sopravvive una Roma cotonata di cui sono, nonostante tutto, perversamente tossica. Osservarla in silenzio, possibilmente dal riflesso di una vetrina, è il mio metadone da bar. Scoprirne gli scampoli felliniani sopravvissuti, le strofe di Remo Remotti per sempre nella sua aria primaverile i graffi anni Ottanta di Schifano che, eterni, sbavano vernice è, per me, l’unica droga di cui non posso fare a meno” scrive nel suo libro, con parole che oscillano tra l’intensità di un coinvolgimento sincero, autentico e una sensazione di atarassia e di sospensione dagli affanni della quotidianità.

Tutto questo genera una scrittura pregna, eppure scorrevole e piacevole allo stesso tempo, rivelatrice tra le righe delle molte letture che l’hanno generata.
È una passione da lettrice occidentale quella per gli haiku, non conosco il giapponese” tiene a precisare, mentre parla di come sia venuta a conoscenza di Santoka, una sorta di drop out tra i monaci zen, che aveva deciso di camminare, di andare sempre, anche a costo di lasciare la famiglia, di non avere mai un soldo, cercando persino di suicidarsi. Una passione, quella per gli haiku, che Susanna Tartaro riprende anche nel suo seguitissimo blog Dailyhaiku