La startup che rivoluziona il mercato delle sale
“Non vogliamo cambiare il mondo, ma solo il modo di vederlo.” Movieday è una startup che permette alle produzioni indipendenti e non di farsi conoscere attraverso il coinvolgimento sui social network e una rete di sale in tutta Italia. Come funziona? Ce lo spiega uno dei fondatori, Antonello Centomani
di Angelo Miotto
@angelomiotto
Partirei da qui: come siete nati, il vostro percorso
Il cinema e l’innovazione sono le mie passioni, da sempre. Durante l’università in lettere, a Napoli, per caso o per destino, mi sono ritrovato a gestire una sala d’essai per qualche anno a partire dal 2003. Fare il curatore cinematografico a soli 23 anni è stato davvero un privilegio senza pari.
Ero ancora in epoca analogica, e ho avuto l’onore di selezionare e maneggiare pellicole di Tarkovskij, Kurosawa, Truffaut, Bresson, e tanti film meravigliosi provenienti da autori di tutto il mondo, per proiettarli dentro un cinema. Se l’esperienza di andare al cinema era forte, tanto da farti percorrere anche migliaia di chilometri in certi casi, la responsabilità di programmarne uno era qualcosa di diverso e più forte ancora. Non facevo più parte del pubblico, mi resi subito conto che il mio desiderio di cinema era improvvisamente sostituito da quello degli altri, e dovevo capire il modo di soddisfarlo al meglio.
Non mi bastava “fare ciò che dovevo”. Dovevo innovare ciò che facevo, introducendo nuove soluzioni, più o meno tecnologiche che fossero. Così, nel 2005 ho lanciato la mia prima impresa innovativa – un’App per lanciare i automaticamente i sottotitoli durante la proiezione di un film in sala, perché dopo approfondite indagini vidi che non era stata ancora inventata e realizzata. O meglio, mi accorsi che alcuni ci stavano provando ma non ci riuscivano, per un semplice motivo: il software che progettai doveva appoggiarsi ad una tecnologia di riconoscimento audio simile a quella sviluppata da Shazam che, all’epoca, era appena nata e sconosciuta in Italia, tranne che da me e qualche ricercatore. Infatti ci misi un anno solo per trovarne uno che poi è diventato lo sviluppatore del mio software Broca-sst (dal fisico del linguaggio Paul Broca, e subtitles and soundtrack). A parte l’ostinazione e le giuste intuizioni, ci ho messo quattro anni per terminare lo sviluppo del software, commettendo tutti gli errori possibili e immaginabili, una sofferenza che ogni volta ricordo con gran piacere. Infatti non ce la feci a portarlo sul mercato, fu il mio primo benedettissimo fallimento.
Da quel punto della storia – dal fallimento e dalla sua comprensione – è potuta nascere un’altra storia, quella di Movieday.
Non ho fatto altro – si fa per dire – che rifare tutto daccapo e meglio, con una nuova profonda consapevolezza: per cambiare il mondo basta cambiare noi stessi, cambiare il nostro modo di vedere le cose, vederle da altre prospettive e sicuramente da lontano, per capire dove sbagliamo, superare le nostre paure e i nostri limiti.
Per prima cosa, dunque, il Team, il primo pezzo di un’impresa, quello universalmente riconosciuto come il più importante, quello senza il quale niente può accadere. Tanto più importante quando l’impresa in questione è un startup, che durante la prima fase (durata due anni per Movieday), ti prende tutto e non ti da niente, in una seconda fase prende tutto e ti inizia a dare un po’ di speranza, nella terza fase – se ci arrivi, e ci siamo arrivati – prende ancora tutto ma ti da qualche possibilità di farcela. Devo dire che per un acquario, come me, il “design delle relazioni” (volendo usare una delle nuove discipline che più mi affascina) è una cosa molto importante, per la quale c’è una certa predisposizione grazie ad un buon senso della libertà e dell’onestà. Pertanto, del precedente Team, ho conservato sicuramente l’amicizia e la stima di tutti, ma anche il rinnovato impegno di uno di loro, Stefano Perna, vecchio amico e sodale di ogni avventura. Stefano, come sempre, ha dato all’impresa un grande e fondamentale contributo di analisi e progettazione, nella sua prima e più dura fase. Attualmente Stefano, oltre ad socio fondatore e Advisor di Movieday, è impegnato all’Apple Academy di Napoli.
Terzo determinante socio fondatore è stato Vittorio Mastrorilli, un ex dirigente aziendale tornato all’antica passione per il cinema gestendo due sale parrocchiali. Vittorio, oltre a sposare il progetto dandoci l’opportunità di fare le prime sperimentazioni sulle sue sale, ha sposato anche l’impresa divenendo socio fondatore e aiutandoci a vincere il primo grant.
Il quarto fondamentale socio fondatore è stato Paolo Nepi, giovane giurista e Filmmaker, ora Chief Financial Officer di Movieday. Io e Paolo siamo stati i primi due membri del team operativo H24.
Dopo sono poi arrivati: Lucrezia Foscari, Film Campaign Manager, che sviluppa e assiste le campagne di autodistribuzione dei film tramite la piattaforma; Andrea Borrelli, Cinema Manager, responsabile degli oltre centocinquanta cinema collegati su Movieday; Luca Malgara, Producer of Marketing and Distribution, che sviluppa e assiste i right owner dei film nella strategia di promozione. A parte, anche se per noi fanno parte del Team, ci sono quelli dello sviluppo tecnologico della piattaforma – quelli che progettano la migliore architettura e scrivono migliaia di righe di codice in linguaggio Python (sì, il nome è preso dai Monty Python). Sto parlando della meravigliosa software agency Axant.it che dedica a Movieday un Team di sei persone.
Come riassumereste l’ambito che avete creato rispetto al mercato italiano? E ci sono esperienze che ci possono insegnare in altri territori?
Movieday risponde ai bisogni del nuovo panorama produttivo. Perché c’è uno tsunami di contenuti digitali, circa 50.000 l’anno, che ovviamente non possono essere gestiti dalla tradizionale rete dei 50 distributori presenti in Italia. Una piattaforma tecnologica come Movieday invece automatizza i processi, connette contenuti e pubblico, fa incontrare offerta e domanda consentendo a chiunque di entrare direttamente in contatto con i propri spettatori.
Movieday regolamenta l’incontro delle singole istanze tramite accordi condivisi, trasparenti e uniformi per tutti, secondo le ormai comuni logiche sottese alle piattaforme di economia collaborativa, come Airbnb e BlaBlaCar, basate sulle nuove tecnologie “sociali” dell’informazione e della comunicazione, per l’incontro, la condivisione e lo sfruttamento di infiniti bisogni e desideri.
A chi dice che la sharing economy rappresenta una nuova forma di dominio, rispondo che la preferisco nettamente a quella del capitalismo. Sono certo che farà molti meno danni e porterà molti più benefici, con un positivo impatto politico e sociale. D’altronde lo abbiamo già sperimentato diecimila anni fa, con le comunità pre-agricole, dove tutto era condiviso, anche la gestione della prole, senza possesso, dove tutto era fatto per il bene della comunità e non del singolo.
Quale la risposta da parte delle case di produzione, registi, e l’importanza della confivisione e dei social: c’è fiducia, passaparola, voglia di provare?
Certo! Il modello di marketing è basato sulla cultura della partecipazione, sulla cosiddetta “prosumerization”. È la partecipazione ingegnerizzata.
Ovviamente, nulla accade così, magicamente… Occorre creare dei processi strutturati, una metodologia. Ma abbiamo già dei modelli grandissimi a cui riferirci e da cui attingiamo costantemente, come le piattaforme di condivisione – Airbnb, in primis -, e quelle di crowdfunding. La chiave di tali piattaforme, risiede nelle “tecnologie abilitanti”, una bellissima definizione che sostanzialmente significa: ti diamo tutto ciò che ti è necessario (strumenti e metodologie) per cavartela da solo, per raggiungere il tuo scopo autonomamente. Come dire, ora non hai più scuse – now it’s up to you!
Come avviene il contatto?
Diffondiamo la piattaforma e la filosofia su cui si basa, in tutti i festival ed eventi di settore che si svolgono in Italia. E per non farci mancare niente, abbiamo creato anche un nostro momento promozional-celebrativo, i Movieday Awards in cui premiamo annualmente i film e i cinema di maggior successo. Siamo solo alla prima edizione, ma contiamo di diventare un evento importante per il settore nel giro dei prossimi cinque anni.
Figura chiave: il campaigner. Quindi in questo circuito c’è una società che sceglie e crea un mercato per più soggetti…
La piattaforma ti fornisce gli strumenti e le metodologie (le tecnologie abilitanti di cui si parlava prima). Mancava il marketing per i film che non avessero a disposizione delle figure interne.Così abbiamo creato i Film Campaigner che progettano, gestiscono e promuovono campagne di proiezioni-evento nelle sale cinematografiche italiane tramite Movieday, sfruttando al massimo le potenzialità della piattaforma con l’ausilio di strumenti tecnologici e assistenza dedicata. Sono singoli professionisti o imprese di diverso tipo, come agenzie di comunicazione, pubblicitarie, di consulenza, riviste web, altro, che daranno un volto alla domanda di mercato, trasformandola in pubblico reale con bisogni e modalità di consumo specifici.
Il nostro obiettivo era quello di sviluppare uno storytelling e di creare un personaggio in cui i possibili i candidati potessero identificarsi. Abbiamo quindi pensato a un supereroe che simbolicamente potesse salvare il cinema, anche perché il compito di Movieday è proprio quello di portare sul grande schermo film che altrimenti non raggiungerebbero mai il grande pubblico. Soprattutto abbiamo giocato con lo slogan “dietro un grande film c’è un grande campaigner”, una frase che si rifà al mondo dei supereroi.
Quale la risposta fino a oggi e il best case?
Dopo un anno online i risultati sono davvero ottimi, con sei campagne di successo di film indipendenti, di cui cinque in corso o appena iniziate, per un totale di circa quattrocento proiezioni, di cui buona parte sold-out.
Ognuna di quelle proiezioni è stato un successo non solo e non tanto in termini di box office, quanto dal punto di vista della condivisione, della partecipazione fisica ed emotiva di persone coinvolte pro-attivamente molto prima della visione del film, che poi si si ritrovano in sala, il giorno dell’evento, per condividere interessi comuni. Insomma, non più fruizione passiva di singole individualità, ma di una collettività attiva e partecipe.
Ci raccontate cosa avete in cartellone?
Attualmente sono in corso le campagne di cinque film immensi, coraggiosi, rivoluzionari, che vengono da mondi e dimensioni lontane.
The Perfect Circle in cui la regista Claudia Tosi affronta e filma il delicatissimo tema del “fine vita”.
Porto il velo, adoro i Queen di Luisa Porrino ha per protagoniste tre musulmane italiane e il rapporto che la nostra cultura ha con loro.
Our War di Claudio Jampaglia, Benedetta Argentieri, Bruno Chiaravalloti, ci mostra una delle più attuali e tragiche polveriere di guerra – la Siria e l’Isis – dall’inedito e umanissimo punto di vista di tre combattenti volontari nella zona del Rojava.
Che cos’è l’amore di Fabio Martina filma un amore ai confini dell’immaginazione tra una pittrice novantenne e un drammaturgo teatrale affetto da disabilità motoria.
Figli della libertà di Lucio, Anna e Gaia Basadonne, è un documentario che si e ci interroga sui modelli pedagogici, scolastici, educativi in generale.
Sviluppi futuri? Cosa avete ipotizzato nei vostri piani di crescita?
La crescita mira a rendere il più sistemico possibile questo modello, perché unisce un alto potenziale commerciale ad un alto impatto socio-culturale.