di Cora Ranci e Antonio Marafioti
Quattro marzo duemilaediciassette. Mezzanotte e un minuto. Bologna. Dentro al Lilium Caffè di via del Borgo di S. Pietro un gruppo un po’ alticcio e un po’ ispirato seleziona al pc pubblico i cavalli di battaglia di Lucio Dalla. Nella notte del suo compleanno sembra un omaggio, lo è sicuramente. Squarciagola su Balla balla ballerino, Futura, Canzone. Decine di pezzi cantati nel caldo respirato di un bar vecchio di 40 anni.
C’è gente che entra e la capienza del bar raggiunge il suo limite massimo, ma la musica non si ferma. Le voci si aggiungono al coro. L’omaggio è ovvio. Naturale. C’è una parte di Bologna che canta per uno dei suoi figli prediletti, un poeta d’altri tempi, un fuoriclasse della nota e del verbo. Non c’è distinzione fra generazioni, non ci sono giovani né vecchi, né uomini né donne, né letterati né analfabeti. L’alcol e i ricordi spingono il cuore, il cuore spinge le voci devote e malinconiche. Lucio qui in mezzo si sarebbe divertito tanto. Si sarebbe fermato col gruppo, l’avrebbe diretto in un modo o nell’altro, avrebbe offerto due o tre giri di rum per poi ricominciare con un nuovo pezzo. Vedendo quel coro cresciuto all’ombra della sua chiave di violino ci si aspetta una fuga ebbra, non organizzata, verso Piazza Grande a cantare i versi a lei dedicati.
Per un attimo la sensazione di vederlo spuntare da un minuto all’altro, basco in testa e clarinetto alla mano, è forte, quasi reale. Poi la consapevolezza che Lucio, il 4 marzo del 2017, non entrerà da quella porta. Lucio è già dentro il locale. Sui muri di Bologna, nei canti dei passanti distratti che conoscono a memoria gran parte del suo repertorio. La sua voce, le sue note, le sue parole incantate aleggiano sulla città, sulle città di mezzo mondo. Questa sera si sa, semplicemente, che per raggiungere l’altro mezzo c’è ancora tempo.
PIAZZA GRANDE (1979)
Motivo leggero per parole drammatiche, quelle di un senzatetto che vive in una piazza. Forse a Bologna, forse nel mondo. “A modo mio, quel che sono l’ho voluto io”
L’umiltà di assumersi la responsabilità per quel che si è scelto di essere. E poi quel vuoto, che non si colma: “A modo mio, avrei bisogno di carezze anch’io”. Commovente ammissione di fragilità, a ben vedere la grande forza di Dalla.
CARA (1980)
E nulla, non ci sono parole per descrivere la bellezza di questa canzone. Il consiglio è di prendersi tutti i 4 minuti e 40 secondi che servono per ascoltarla. Sarà un momento indimenticabile. Almeno, per chi scrive – e qui credo valga la proprietà commutativa tra i due autori di questo articolo – lo è sempre stato.
BALLA BALLA BALLERINO (1980)
“Ecco il mistero sotto un cielo di ferro e di gesso l’uomo riesce a amare lo stesso E ama davvero senza nessuna certezza Che commozione che tenerezza”.
Ballare, trovare la chiave creativa per affrontare il caos della vita. il trucco è tutto lì. Grazie Lucio
HENNA (1993)
“Adesso basta sangue, ma non vedi, non stiamo nemmeno più in piedi, un po’ di pietà”.
Mentre stava sulla sua barca in mezzo all’Adriatico, Dalla è stato svegliato dal boato degli aerei che andavano a bombardare la Jugoslavia. Gli nasce allora questa potente canzone contro ogni guerra.
CANZONE (1996)
Le parole che non si possono dire, quei sentimenti che restano lì, come intrappolati, di fronte a un amore che c’è ma non può essere. E allora una canzone, per dire lo stesso quel “vorrei”. Attraverso la musica dirlo a tutti, rivolgendosi in realtà a una persona ben precisa – non può restare indifferente, e se rimane indifferente non è lei. Il potere liberatorio della musica.
L’ULTIMA LUNA (1979)
L’intro di questo pezzo è, in una parola, magnificente. Concentra in sé l’anima degli anni Settanta trascinata in totale leggerezza nel decennio successivo. “Mentre l’angelo di dio bestemmiava facendo sforzi di petto”: chi fra i fan non lo ha mai immaginato comporre questi versi con un sorriso beffardo in volto, alzi la mano.
MADONNA DISPERAZIONE (1981)
Una nota tecnica: alla registrazione di questo pezzo parteciparono Ricky Portera (chitarra elettrica), Marco Nanni (basso), Gaetano Curreri (tastiere) e Ron (chitarra acustica). Le note artistiche si fermano, e fermano il tempo, al verso: “C’è molta poesia a stare zitti se non si ha niente da dire”. Pleonastico, si penserebbe, se a cantar il verso non fosse Lucio. Tutto il resto è prosa pura e raffinata.
FUTURA (1980)
Sei minuti. Una vita compressa. Una generazione raccontata in pochi versi. Ci sono i russi, ci sono gli americani. C’è un muro, quello di Berlino, che provoca paure e incertezze. Poi c’è una figlia di nome Futura, che nuota su una stella. La miniatura dell’amata. “Lento lento, adesso batte più lento, ciao come stai. Il tuo cuore lo sento i tuoi occhi così belli non li ho visti mai”. Altro dirvi non so.
ANNA E MARCO (1978)
“E la luna è una palla a ed il cielo è un biliardo”. Solo l’ipotesi fa venire voglia di superare la stratosfera e viaggiare nello spazio per capire se è vero.
LE RONDINI (1990)
“Vorrei entrare dentro i fili di una radio
E volare sopra i tetti delle città
Incontrare le espressioni dialettali
Mescolarmi con l’odore del caffè
Fermarmi sul naso dei vecchi mentre Leggono i giornali
E con la polvere dei sogni volare e volare
Al fresco delle stelle, anche più in là”.
Bonus track 1
4 MARZO 1943
Auguri, Lucio!
Bonus track 2
MILANO
Non è solo l’omaggio a una città. È una delle descrizioni più precise che ne siano mai state fatte.