La resistenza è vita

La battaglia di Miller Dussán Calderón contro la diga di El Quimbo, in Colombia

di Lorena Cotza

Miller parla del rio Magdalena come se fosse un essere vivente, un fratello di sangue. Il fiume non è solo acqua: per Miller e per chi vive lungo le sue sponde, il rio è il simbolo della vita stessa.

Il Magdalena è il più grande fiume della Colombia: nasce dalle montagne del dipartimento di Huila e sfocia nel mar dei Caraibi, all’altezza della città di Barranquilla. La popolazione locale lo considera sacro, perché rende fertili le terre circostanti e dà lavoro a migliaia di pescatori.

Negli ultimi anni, tuttavia, il numero di pesci nel Magdalena si è drasticamente ridotto a causa dell’alto livello di inquinamento. Per questo Miller ha deciso, insieme alla sua comunità, di lottare per proteggere il fiume. Perché quando un fratello è in pericolo, si rischia la vita pur di salvarlo.

Miller Dussán Calderón è un professore e difensore dei diritti umani. Nel 2009 ha fondato l’associazione ASOQUIMBO, per protestare contro la costruzione del mega-impianto idroelettrico El Quimbo nel dipartimento di Huila, nel sud-ovest della Colombia, e difendere i diritti delle comunità locali.

L’impianto fu proposto per la prima volta alla fine degli anni Novanta, ma il progetto fu accantonato a causa dei possibili danni ambientali. A partire dal 2002, tuttavia, il governo dell’ex-presidente Alvaro Uribe concesse licenze per migliaia di miniere e impianti idroelettrici, fra cui quello di El Quimbo. Di fronte alla promesse di investimenti stranieri miliardari, le preoccupazioni per la salute della popolazione e la salvaguardia del ricchissimo patrimonio naturale passarono in secondo piano.

La costruzione e la gestione di El Quimbo furono affidate all’impresa colombiana Emgesa, una sussidiaria dell’Enel, che promise tutele per l’ambiente e massimo rispetto per le comunità locali.

Le promesse, tuttavia, non furono mantenute. Da quando sono stati avviati i lavori nel 2009, quasi 1500 persone sono state sfrattate, spesso in modo violento, e molti non hanno ricevuto alcuna compensazione. Le proteste dei cittadini sono state ignorate, e violentemente represse. Nel 2012, durante uno sfratto forzato, la polizia colombiana aggredì alcuni manifestanti e negli scontri uno di loro perse un occhio.

In un recente comunicato pubblicato nel sito di Business & Human Rights Centre, l’Enel afferma che “dal punto di vista ambientale, le operazioni dell’impianto idroelettrico hanno contribuito a migliorare la qualità dell’acqua”.

Ma la realtà descritta da Miller è ben diversa. Secondo l’attivista, si stima che la pesca artigianale nella regione si sia ridotta di circa il 90 per cento: la maggior parte dei pesci è morta per asfissia, a causa dell’inquinamento provocato dall’impianto. L’impresa colombiana Emgesa infatti non ha rimosso oltre 50mila metri cubi di vegetazione dal bacino della diga, e la biomassa in decomposizione ha provocato altissime emissioni di metano.

“Gli impianti idroelettrici distruggono la produzione agroalimentare, l’ecosistema, il patrimonio culturale di questa regione. Non ha alcun senso continuare con questo tipo di politiche economiche, basate su un modello capitalista che non rispetta i diritti collettivi della popolazione locale: le dighe distruggono la natura, e chi distrugge la natura distrugge la vita,” dice Miller.

Secondo l’attivista, la costruzione della diga non era necessaria, perché il Paese era già auto-sufficiente per il suo fabbisogno di consumo energetico. Come si legge nel rapporto Corporate Conquistadores dell’Ong Democracy Centre, il surplus di energia prodotto da El Quimbo viene venduto ai Paesi vicini, o svenduto a prezzi ribassati ad altre imprese colombiane, come miniere o impianti di shale gas. L’energia descritta come “pulita” serve dunque ad alimentare e promuovere i settori industriali più inquinanti del Paese.

Per cercare di proteggere il rio Magdalena, Miller e gli altri attivisti di ASOQUIMBO hanno realizzato studi sui danni all’ecosistema causati da El Quimbo, partecipato in consultazioni con i politici locali, e organizzato scioperi, proteste e occupazioni pacifiche.

Ma in Colombia opporsi alle grandi opere comporta un alto prezzo da pagare. A causa del suo impegno nella lotta per i diritti ambientali, Miller ha rischiato fino a 12 anni di carcere.

“Noi lottiamo per garantire una vita in armonia con la natura, e proponiamo dei modi alternativi per vivere nel nostro territorio. Ma questo non interessa alle multinazionali: la loro strategia è di zittire e denunciare chi protesta, chi si oppone alle dighe, alle miniere, all’estrattivismo. Per loro, questo è l’unico tipo di sviluppo possibile”, dice Miller.

Nel 2015, Emgesa ha denunciato Miller e l’attivista Elsa Ardila, ex-presidente di ASOQUIMBO. L’accusa era quella di occupazione di strade e disturbo dell’ordine pubblico, in riferimento a una protesta a cui aveva partecipato ASOQUIMBO nel 2012.

La mobilitazione era stata organizzata per protestare contro i danni provocati a un ponte sul fiume Magdalena, durante i lavori per la costruzione dell’impianto. Il ponte non fu riparato per più di un anno, e la regione del sudovest di Huila rimase completamente isolata, con gravi conseguenze sociali ed economiche per la popolazione locale.

Il 6 febbraio, tuttavia, Miller ha ottenuto una piccola, grande vittoria. Il giudice del tribunale di Garzón ha proposto l’archiviazione del processo, perché ha riconosciuto che la protesta si svolse in maniera pacifica e senza ricorrere alla violenza.

Il giudice ha inoltre confermato il diritto stesso alla protesta, affermando che “procedere con il processo significava limitare il diritto alla libertà d’espressione, di riunione, e di protesta sociale”.

L’avvocato di Emgesa, che secondo alcune indiscrezioni avrebbe ricevuto direttive direttamente dall’Enel, ha deciso di non presentare ricorso e ha accettato la decisione del giudice.

Resta tuttavia ancora in sospeso una seconda denuncia contro Miller, accusato di aver guidato delle occupazioni illegali nel 2013. Le occupazioni, del tutto pacifiche, erano state organizzate dai contadini sfrattati, che avevano dovuto cedere i propri terreni per lasciar posto alla costruzione della diga, senza ricevere alcuna compensazione.

La persecuzione giudiziaria nei confronti di Miller si inserisce in un contesto di continue violenze, minacce, attacchi e omicidi di difensori dei diritti umani nel Paese. Nel 2016, come si legge nel rapporto annuale dell’organizzazione non-governativa Front Line Defenders, in Colombia sono stati assassinati almeno 85 difensori dei diritti umani.

“Non vogliamo che la nostra comunità sia vittima di aggressioni e omicidi, non vogliamo che la popolazione locale sia sotto attacco, noi stiamo solo lottando in modo pacifico per la vita. Stiamo lottando perché questa è la nostra terra, e vogliamo poter essere noi a decidere quali progetti sviluppare per il nostro futuro, per il nostro territorio”, dice Miller.

La situazione in Colombia è paradossalmente peggiorata con l’avanzare dei negoziati di pace tra il governo e i guerriglieri delle FARC.

Numerosi gruppi paramilitari – spesso in collusione con politici e imprenditori locali – hanno ripreso il controllo di numerosi territori. Gli omicidi di difensori, leader comunitari e contadini si verificano nella più totale impunità, e poco viene fatto per prevenire gli attacchi, nonostante gli attivisti denuncino le minacce e intimidazioni subite.

Miller sa bene quanto sia rischioso schierarsi contro i gruppi politici ed economici che gestiscono le grandi opere, ma non vede altre opzioni: l’unica strada possibile, secondo l’attivista, è quella della resistenza.

“La lotta, la resistenza danno senso a tutto”, dice Miller. “Se non ci si batte per difendere i nostri diritti, non capisco il senso della vita. La battaglia per i nostri diritti è fondamentale. Attraverso la resistenza, si impara a vivere in comunità. Attraverso la resistenza si costruiscono relazioni migliori tra le diverse comunità. Attraverso la resistenza non ci si piega agli interessi delle élites economiche e ci si batte per modelli alternativi. Se non c’è resistenza, non c’è vita”.