di Cora Ranci
C’è un cinema, a Milano, gestito da un signore che ogni sera, salutando gli spettatori in uscita dalla sala, chiede: «Vi è piaciuto il film?». Lo chiede, Antonio Sancassani, perché realmente ama il suo lavoro. E quando la passione incontra la determinazione, allora nascono dei luoghi che possiamo a tutto diritto chiamare dei piccoli “miracoli”.
Il regista Michele Rho l’ha capito sulla sua stessa pelle qualche anno fa, quando dopo aver realizzato il suo primo lungometraggio (Cavalli, 2011) ha dovuto lottare perché qualcuno accettasse di distribuirlo. Tante le porte chiuse, prima di incontrare Sancassani. A cui il film è piaciuto, e che proprio per questo ha accettato di inserirlo nella programmazione del Mexico.
È nato così Mexico! Un cinema alla riscossa, il documentario con cui Rho racconta la storia di questo piccolo ma importante cinema. Una storia indissolubilmente legata a quella di Sancassani, che da oltre 40 anni lotta quotidianamente contro le tante difficoltà contro cui si imbatte chiunque sia determinato a mantenere la propria indipendenza rispetto alle logiche di un mercato sempre più asfittico, come – in questo caso – quello della distribuzione cinematografica.
Il Mexico è una delle ultime sale monoschermo milanesi sopravvissute al triste fenomeno della chiusura dei cinema, divorati dalle difficoltà economiche e costretti a chiudere.
Chi conosce Milano ricorderà sale come il President, il Cavour, il Corallo, l’Excelsior, l’Ariston, l’Astra, che ha lasciato il posto alla catena di abbigliamento Zara. L’ultima grande perdita è stato il leggendario Apollo, al cui posto apparirà un Apple Store. Come possono i piccoli esercenti sopravvivere in un settore in crisi, dominato dalle logiche della grande distribuzione incarnate dai multiplex?
Dal 1975, anno in cui ha rilevato la gestione del Mexico, Sancassani ha sempre dovuto lottare per non soccombere. Perché su un punto non ha mai ceduto: non avrebbe mai accettato di appartenere ad alcun circuito. Gestire in maniera del tutto autonoma la propria programmazione, però, è una scelta difficile, perché taglia le gambe alla possibilità di noleggiare la maggior parte dei film che vendono. Come fare, dunque? Di strategie Sancassani ne ha trovate diverse.
Nei primi anni, quando sono iniziate davvero le difficoltà e quando l’unica soluzione sembravano i film a luci rosse, ha avuto un’idea che per il successo che ha avuto si è rivelata geniale: mettere in scena ogni venerdì sera il Rocky Horror Picture Show, agganciando la crescente moda del tempo per i musical. Un “rito” ormai celebre a Milano e che prosegue ancora oggi. Compagnie amatoriali di appassionati coinvolgono un pubblico sempre numeroso e ormai affezionato. Col Rocky Horror il Mexico ha trovato una sua nicchia, un qualcosa che lo rende unico in tutta Milano. Ma non è finita qui.
La storia del Mexico dimostra l’importanza del ruolo dell’esercente anche rispetto alla possibilità di far girare le piccole produzioni indipendenti di qualità, che normalmente faticano molto per vedere riconosciuto il loro valore, e che si scontrano con una distribuzione regolata dalle logiche del mercato di massa, dove se sei piccolo e indipendente, non sei nessuno.
Oggi il Mexico è un punto di riferimento non solo per i milanesi che apprezzano la qualità, ma anche per tutti coloro che lavorano nel cinema indipendente.
Da via Savona 57 sono passati tanti registi. Sancassani ama e sa riconoscere il buon cinema. Nel 2005 è stato l’unico a credere nel primo film di Giorgio Diritti, Il vento fa il suo giro. Nessuno voleva proiettarlo – racconta lo stesso Diritti nel documentario. Nessuno, tranne Sancassani. È stato quello il vero momento di svolta per l’agonizzante Mexico.
Decine e decine di persone in fila per vedere quel film, di cui tutti a Milano si erano messi a parlare ma che solo al Mexico si poteva vedere. L’incredulità della cassiera del cinema, a ricordare quel piccolo “miracolo”. Il vento fa il suo giro è rimasto in programmazione al Mexico per ben due anni. Il secondo film di Diritti, L’uomo che verrà, avrebbe in seguito vinto il David di Donatello.
Questa storia – lo dice bene Moni Ovadia, uno tra i tanti personaggi di Milano che appaiono nel documentario – testimonia di come, a scommettere sulla qualità, arrivi sempre un momento in cui “si ha ragione”. Forse non è realmente sempre così, ma storie come questa portano a sperare nella costruzione di alternative culturali sostenibili. Oltre che fare bene al cuore.