Frammenti di Kurdistan
di Linda Dorigo
“La nostra cultura è persiana, lì invece sono arabi. Siamo profondamente diversi – obietta Sadi – L’autonomia che hanno in Iraq non è stata conquistata, ma è frutto di strategie politiche. Lì i curdi sono più indisciplinati, la mentalità araba e le vicissitudini storiche li hanno fatti diventare pigri. Qui invece abbiamo energia elettrica e acqua potabile. Non ci manca nulla”.
Gambe incrociate, una tazza di tè scuro, datteri. Sadi racconta che metà della sua famiglia vive nel Kurdistan iracheno e che tutti loro hanno due passaporti.
Di moglie però ne ha una sola, non ha ancora pensato a trovarsene un’altra in Iraq. Ride. “È il sogno di tutti – dice del Grande Kurdistan – Grazie alla nostra indole saremo capaci di instaurare nel più breve tempo possibile una democrazia giusta. Non avremo bisogno di un capo. Solo in Bashur (Kurdistan dell’Iraq Ndr.) ci sono voluti dieci anni per ottenere l’autonomia. Sono i peggiori! Ma a noi basterà poco. Già nel 2022 avremo una sola nazione e nel 2015 in tutto il mondo non ci saranno più confini grazie alla tecnologia. La scienza è inarrestabile”.
Sadi non si limita a criticare i fratelli curdi oltreconfine, ma si lancia in un’invettiva contro la politica che, a suo dire, “ostacola la libertà religiosa, crea violenza e sopraffazione”.
“Non ho mai votato. Il voto non è democratico, né qui né negli Stati Uniti, né altrove. Se mi dicessero di fare il presidente del Kurdistan mi rifiuterei perché dovrei diventare una persona disonesta. Non credo in alcun sistema politico. Se i comunisti vincessero le elezioni in Iran non sarebbe una buona notizia, non per me. Il problema di questo Paese è che la rivoluzione ha instaurato un legame tra politica e religione. E pensare che solo qualche anno prima del 1979 americani e tedeschi facevano il bagno nel lago di Srebar, a Marivan”.