Voci libere dopo lo sgombero del Gran ghetto

Rignano Garganico: Una raccolta di testimonianze raccolte da Radio Ghetto

tratto da Radio Ghetto

Lo sgombero del ghetto di Rignano ha lasciato dietro di sé una scia di morte e dolore e di pesanti responsabilità politiche. Mamadou Konate e Nouhou Doumbia, due braccianti di origine maliana di 33 e 36 anni, sono le vittime dell’assenza di un’alternativa reale e praticabile alla vita nella baraccopoli.

Gli attivisti di Radio Ghetto Voci Libere, un’esperienza di comunicazione partecipata che dal 2012 tenta di dar voce ai braccianti africani delle campagne pugliesi, hanno seguito fin dall’inizio le fasi dello sgombero della baraccopoli.

Da allora stanno cercando di diffondere alcune notizie sulla situazione attuale, pubblicando dei brevi post sulla pagina facebook del loro progetto.

Abbiamo deciso di raccogliere i primi post in un unico articolo per ricordare quanto accaduto a Rignano e capire qual è la situazione, partendo direttamente dalle testimonianze dei migranti, voci libere che chiedono il diritto ad avere un lavoro regolare ed un’abitazione dignitosa. Diritti minimi che qualsiasi società dovrebbe garantire.

8 marzo 2017

Abdoul: “Perché ci hanno mandato via dal ghetto? Voi lo sapete? Lì al ghetto c’erano baracche e qui a Borgo ci sono baracche. Quindi perché?”

Borgo Mezzanone è solo uno dei luoghi “informali” dove molte persone si sono riversate dopo lo sgombero del Gran Ghetto di Rignano Garganico (FG), affittando una baracca disabitata o dormendo in macchina.

E’ venuto qui chi non ha accettato di andare nelle strutture proposte dalle istituzioni locali poiché da tali strutture è pressoché impossibile raggiungere i campi dove i braccianti lavorano.

Quello che Abdoul chiama Borgo è un accampamento di una quarantina di baracche e parecchi container, abitati da anni da diverse centinaia di persone. Sorge in aperta campagna su una pista di un aeroporto militare dismesso ed è adiacente al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Borgo Mezzanone, a una ventina di chilometri da Foggia.

Qui l’elettricità e l’acqua sono fornite informalmente dal centro, gli abitanti sono per la maggior parte braccianti, ma vi si trovano anche commercianti che hanno piccole botteghe per la comunità, ristorantini e bordelli.
In definitiva un piccolo Gran Ghetto.

Mamadou: “Qui possiamo solo mangiare e dormire, ma per dormire tutto il giorno rimanevo in Africa”.

A ridosso dello sgombero del Gran Ghetto le istituzioni locali – Regione Puglia e Comune di San Severo (FG) – hanno dato due alternative ai circa 500 braccianti che vi abitavano da anni: l’Arena, uno stabile nell’agro di San Severo che ospita un centinaio di persone, e Casa Sankara, dove al momento alloggiano circa 180 persone, tra i container e le dodici tende allestite appositamente per gli sfollati del Gran Ghetto.

In entrambi i posti le persone trasferite lamentano il fatto che non possono raggiungere i campi dove lavorano, eccetto qualcuno che a Casa Sankara vede alloggiare anche il proprio caporale con furgone a seguito. Molti dunque stanno già lasciando entrambe le strutture per tornare a vivere vicino al Gran Ghetto, nei casolari abbandonati, nelle roulotte o in altri piccoli ghetti più vicini ai campi come Borgo Mezzanone.

9 marzo

Aminata: “Era stanco, tanto stanco, era andato e tornato da Foggia a piedi per manifestare contro lo sgombero, è per questo che non è riuscito a svegliarsi. Aveva cenato da me al ritorno da Foggia, era esausto, ha cenato, è andato a dormire e non si è svegliato. Il sonno era troppo profondo”.

Nel marzo del 2016 la Direzione Distrettuale Antimafia aveva posto il Gran Ghetto sotto sequestro con facoltà d’uso per i braccianti che lo abitavano. Dal 1 marzo 2017, con l’avvio dello sgombero viene revocata ufficialmente la facoltà d’uso e il Ghetto è sottoposto automaticamente alla responsabilità e alla tutela dello Stato.

Giovedì 2 marzo alcune centinaia di persone hanno manifestato davanti alla Prefettura di Foggia, ribadendo di non voler lasciare il ghetto e chiedendo di parlare con il Prefetto per concordare una soluzione condivisa. Quella stessa notte un incendio brucia moltissime baracche e, per la prima volta dopo numerosi roghi passati, provoca due morti: Mamadou Konate e Nouhou Doumbia.

Michele Emiliano, ex magistrato antimafia, ad oggi Presidente della Regione Puglia e da qualche settimana candidato alla Segreteria del PD, all’indomani dell’incendio dichiara: “La tragica morte dei due cittadini maliani […] lascia un profondo sconforto perché se avessero accettato, come tanti hanno fatto, l’alternativa abitativa adesso sarebbero ancora vivi”.

Ad altri lascia un profondo sconforto il fatto che se le istituzioni avessero proposto delle valide alternative lavorative e abitative quei due braccianti le avrebbero accettate.

12 marzo

Boubacar: “Non ci portano più l’acqua, forse pensano che così ce ne andiamo via anche noi, ma noi possiamo lavorare solo da qui”.

Qualche giorno prima di sgomberare il ghetto la Regione Puglia ha smesso di ricaricare le cisterne di acqua potabile che da anni venivano riempite ogni giorno al Gran Ghetto di Rignano Garganico.

Il Ghetto era da un anno sotto sequestro con facoltà d’uso per i braccianti che vi abitavano. Paradossalmente le istituzioni hanno deciso di smettere di fornire acqua potabile proprio quando, revocata la facoltà d’uso, sono rientrate in pieno possesso dell’area e ne sono quindi diventate direttamente responsabili a livello civile e penale.

Lo sgombero e la demolizione del Ghetto ha risparmiato i casolari, dove decine e decine di persone sono quindi rimaste a vivere anche perché è solo da lì che possono continuare ad arrivare ai campi dove lavorano. Queste persone sono rimaste senza accesso all’acqua potabile, e dunque costrette a fare chilometri per raggiungere la fontana più vicina, comprare quella imbottigliata che qualcuno di loro riesce a portare da Foggia, oppure bere quella non potabile ricavata dai tubi di irrigazione con gravi rischi per la loro salute.

[I nomi sono frutto di fantasia, i fatti no.]

Trasmissione di Radio Ghetto – D di donne

Tra gli abitanti del Gran Ghetto circa un centinaio sono donne. Alcune di loro gestiscono piccoli ristoranti e bar tra le baracche ma la maggioranza è composta da giovani ragazze nigeriane vittime di tratta che si prostituiscono nei tanti bordelli della baraccopoli controllate a vista dalle Madame, le protettrici.

I clienti principali sono cittadini italiani e dell’est Europa che la notte si riversano sul Ghetto pagando anche solo 15 € per una prestazione sessuale.

Per i braccianti quello delle donne e della prostituzione è un problema secondario in parte perché ritengono questo tipo di lavoro connaturale alle donne nigeriane, in parte perché la mancanza di lavoro è la questione più assillante per loro. Forze dell’ordine e associazioni non fanno nulla per fermare il fenomeno.