Contro ogni pronostico, il partito nazionalista del premier Modi ha vinto nelle amministrative locali in quasi tutti i cinque stati chiamati alle urne, ma soprattutto ha stravinto in uno stato popoloso e poverissimo, dal peso enorme: l’Uttar Pradesh. Il voto è stato un referendum sul suo operato e sul “notebandi” che non lascia spazio a dubbi: Modi non ha rivali
di Maria Tavernini, da New Dehli
Chi si aspettava una sua sconfitta si è sbagliato di grosso. “Voglio porgere i miei più sentiti ringraziamenti, è una vittoria storica per noi”, ha twittato il primo ministro Narendra Modi, “una vittoria dello sviluppo e del buon governo”.
Cinque stati indiani hanno votato, in turni differiti tra febbraio e l’inizio di marzo, per eleggere le Assemblee Legislative, Vidhan Sabha, la camera bassa a livello statale. In barba agli opinion polls che volevano i consensi del partito al governo in calo, Modi e il Baharatya Janata Party (BJP) escono enormemente rafforzati dal voto.
Gli stati di Goa, Manipur, Uttarakhand, Punjab e Uttar Pradesh (UP), hanno votato i loro rappresentanti, ma è in quest’ultimo stato che il BJP, il partito nazionalista di matrice induista guidato da Modi, ha letteralmente schiacciato i suoi avversari con un netto 40 percento: 312 seggi su 403, la più larga maggioranza che lo stato abbia visto dalla metà degli anni ’70.
L’UP è un tassello cruciale, storico terreno di battaglia per tutti in ogni elezione: uno stato agricolo e povero che conta 220 milioni di persone, un sesto della popolazione indiana.
Per l’opposizione, formata dalla coalizione tra il Congresso – il partito della dinastia Gandhi che ha governato l’India quasi ininterrottamente dall’indipendenza – il partito uscente, il Samajwadi Party (SP) del satrapo Akilesh Yadav, e il Bahujan Samaj Party (BSP), capeggiato dalla leader dalit Mayawati, il gradino più basso della scala sociale indiana, non c’è stata partita.
In tutto lo stato, dove il premier si è impegnato in prima persona in un’estenuante campagna elettorale, è stato un “one-man show”.
Dopo un inizio in sordina, Modi, al terzo anno di mandato, è entrato a gamba tesa nelle elezioni in UP. Il voto ha assunto i toni di un referendum sulla sua persona e sulla controversa decisione del suo governo, lo scorso novembre, di mettere fuori circolazione l’86 percento (in valore) delle banconote in circolazione.
E restituisce un’immagine del premier come uomo forte, capace di decisioni importanti, impegnato contro la corruzione e per i poveri del paese.
La dialettica di Modi, la sua retorica incentrata su uno sviluppo forsennato, e la strategia di Amit Shah, presidente del BJP, hanno avuto la meglio sul modello di Akilesh Yadav (SP) e sui vincoli di casta del partito di Mayawati.
Modi ha spazzato via la tradizionale politica partitica che in UP segue linee di divisione castale e religiosa, vendendosi come un leader forte e carismatico, capace di rappresentare trasversalmente tutte le comunità e le caste.
Il risultato del voto in UP avrà ripercussioni anche sulla composizione della Rajya Sabha, la camera alta – dove il partito del premier è ancora in minoranza – e, ovviamente, anche sulle prossime elezioni politiche, nel 2019.
Il BJP ha vinto anche in Uttarakhand, dove si è assicurato 56 dei 71 seggi dell’assemblea, facendo pendere l’equilibrio dei poteri decisamente in suo favore, ma ha perso consensi nel piccolo stato di Goa.
Il Partito del Congresso, di contro, con un leader debole come Rahul Gandhi, erede della dinastia Nehru-Gandhi che ha dominato la politica indiana per oltre mezzo secolo, è riuscito a strappare una decisa vittoria solo in Punjab, ricco stato agricolo nel nordovest del paese, dopo circa dieci anni all’opposizione, con 77 seggi su 117.
A Goa e nel Manipur, il voto si è concluso con uno scarto di pochi seggi dal BJP, in entrambe le assemblee, con il Congresso in vantaggio.
Ciò nonostante, il BJP, si è presentato per la nomina del governatore sia a Goa che nel Manipur forte di alleanze postume con partiti minori.
“La legge della terra e la volontà del popolo sono stati sacrificati sull’altare della convenienza politica, calpestando le istituzioni e il mandato del popolo”, scrive Randeep Singh Surjewala, ex ministro del Congresso, sulle pagine di The Wirehttps.
“E ormai chiaro che l’idea di Modi di una nuova India è fondata sulle defezioni piuttosto che sulle elezioni”.
L’Aam Aadmi Party (AAP), invece – nato dal movimento anti-corruzione di Anna Hazare del 2013 – è uscito fortemente penalizzato da questa tornata elettorale. Aravind Kejriwal, al governo nello stato di Delhi da poco più di due anni, è costretto a ridimensionare il suo sogno di promuovere l’AAP come terza forza politica sul panorama nazionale e di costituire una qualche opposizione all’inarrestabile tsunami NaMo, come viene chiamato il premier.
Dalle elezioni è così emerso un Modi rafforzato nel suo mandato, senza nessun rivale all’orizzonte che eguagli la sua statura politica.
Mentre il BJP ha sempre, cinicamente, utilizzato l’identità religiosa per polarizzare il discorso tra hindu e musulmani, Modi ha abilmente minimizzato le politiche su base identitaria, di religione e di casta. E ha avuto i suoi risultati, in uno stato come l’UP, dove la presenza musulmana è forte e non sono mancati episodi di violenza intracomunitaria.
Modi ha incentrato tutta la sua retorica sulla chimera dello sviluppo economico, su una nuova India che rinasce dalle ceneri e vive il suo Indian Dream. È riuscito (eroicamente) a far passare la manovra di demonetizzazione in sordina e mantenere alto il suo consenso, nonostante le critiche da più parti che venivano scagliate contro l’audace mossa del suo governo e la sua disastrosa implementazione, che ha messo in ginocchio l’economia e gli strati più poveri della popolazione gettando il paese nel caos.
Anche se il PIL indiano ha subito un brusco stop a causa della momentanea contrazione dell’economia per la mancanza di contante sul mercato, gli economisti sostengono che questo non intaccherà il suo posto tra le economie in più rapido sviluppo e il PIL sul lungo periodo.
“Le fondamenta di una nuova India sono state gettate”, ha twittato il primo ministro dopo le elezioni, “ogni indiano è parte di questa incredibile trasformazione”. Una trasformazione che, secondo i suoi detrattori, sta pericolosamente allontanando l’India pluralista e tollerante dal suo passato socialista e secolare.