Dio perdona l’omicidio e l’adulterio ma si scaglia contro chi è a favore dell’integrazione tra bianchi e neri
di Marco Todarello
A parlare è una donna di mezza età della borghesia bianca americana: l’anno è il 1958, lo scenario è l’ingresso di una scuola di Birmingham, capitale dell’Alabama. I genitori dei bambini bianchi cercano di impedire ai genitori afroamericani l’iscrizione dei propri figli nella stessa scuola, la polizia si mette di traverso per impedire che lo scontro degeneri, ma non è difficile capire da che parte sta.
Loro, i piccoli protagonisti, si guardano intorno spaventati, attoniti, vittime di una dinamica che non riescono a comprendere.
Questa immagine potentissima, che spiega bene che cos’è stato il razzismo in America, è una delle più emblematiche di I am not your negro, documentario diretto da Raoul Peck che ha aperto a Milano la 27^ edizione del Festival del cinema africano – Asia e America Latina.
Il film è stato candidato all’Oscar 2017 come miglior documentario e dal 22 marzo è nelle sale italiane.
Il regista haitiano, ingegnere ed ex ministro della Cultura prestato al cinema e noto al grande pubblico per il film sulla vita del politico congolese Patrice Lumumba, premiato a Cannes nel 2000, firma un progetto ambizioso: utilizzando in gran parte materiale d’archivio (interviste, servizi giornalistici, spezzoni di film, manifesti pubblicitari) e attraverso un sapiente lavoro di regia, racconta una breve storia dell’identità razziale dei neri degli Stati Uniti, dagli anni ’30 del XX° secolo fino ad oggi.
Per farlo, si affida alla figura di James Baldwin, scrittore e attivista per i diritti civili, che è il vero protagonista del film.
Baldwin, che con i suoi scritti divenne tra gli anni ’50 e ‘80 l’intellettuale di riferimento del pacifismo, dell’antirazzismo e degli omosessuali d’America, negli ultimi mesi della sua vita stava lavorando a un libro, Remember this house, che doveva essere una sorta di diario della sua vita passando attraverso il profilo di tre grandi leader per i diritti civili assassinati, Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King, con i quali Baldwin aveva profondi rapporti di amicizia.
Lo scrittore però morì nel 1987, quando aveva da poco cominciato a scrivere. Peck ha chiesto e ottenuto i suoi appunti, che poi sono diventati la sceneggiatura di I am not your negro. La voce narrante è di Samuel L. Jackson, che interpreta il testo con evidente partecipazione emotiva.
Le immagini degli arresti, dei pestaggi della polizia, dei locali riservati ai neri si alternano alle parole di Baldwin, ai suoi interventi sulla tv americana e alla celebre intervista che rilasciò a Nick Cavett.
“L’odio dei neri viene dalla rabbia — spiega Baldwin — quello dei bianchi dalla paura”, ed è una frase che basta a leggere Baldwin come una voce molto diversa da quelle di altri attivisti dell’epoca, ad esempio dal pragmatismo di un Malcom X: più che alla lotta, l’autore di The Fire Next Time invita alla presa di coscienza, allo smascheramento delle contraddizioni di un popolo e dei gruppi di potere bianco che avevano deciso di “inventare una categoria sociale, quella dei neri” pur di non pagare il prezzo con la storia.
Tra gli spezzoni di film, sempre in assoluta armonia con la voce fuori campo di Jackson, passano anche La capanna dello zio Tom (1918) e Ombre rosse (1939), dove mentre John Wayne spara agli indiani Baldwin commenta: “Davanti a quei film in cui gli eroi erano sempre bianchi, ci era facile pensare che oggi abbiamo preso noi il posto dei pellerossa”.
E su Indovina chi viene a cena? (1967): “Per i bianchi quello fu un capolavoro dell’antirazzismo, mentre ai neri non piacque perché pensarono che il personaggio di Sidney Poitier era usato contro di loro”.
Alcuni salti temporali della regia di Peck servono a rendere quasi profetiche le tesi di Baldwin: parlando del futuro aveva immaginato l’elezione di Obama, le nuove rivolte come quella di Ferguson, ed è così che i suoi argomenti diventano senza tempo, analisi di un dramma che ha impegnato lo scrittore per tutta la vita e che lui ha vissuto in modo lacerante soprattutto da cittadino statunitense, più che da singolo individuo di colore.
Baldwin ha vissuto buona parte della sua vita all’estero, a Parigi, per brevi periodi anche a Istanbul e in Germania, ma non è mai mancato quando in patria c’era bisogno della sua presenza per sostenere questa o quella battaglia in tema di diritti civili.
Tuttavia forse è stata proprio questa distanza, questa prospettiva con due centri — lo sguardo dall’Europa e quello dal suo cuore — a rendere le analisi di Baldwin valide in ogni tempo, compreso (e forse soprattutto) nel nostro. I am not your negro è indubbiamente uno dei migliori film sui diritti civili mai realizzato.
Giunto alla 27^ edizione, Il Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina è di scena a Milano fino al 26 marzo con 60 film in quattro sezioni di concorso e due sezioni speciali: Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo (10 film dalle ultime produzioni provenienti dai tre continenti che privilegia nelle scelte le opere dei giovani registi); Concorso Cortometraggi Africani (i migliori brevi film (fiction e documentari) realizzati da registi provenienti dall’Africa e dalla diaspora.
La sezione ha l’obiettivo di promuovere i giovani registi africani ai loro primi passi nel cinema e di mostrare nuove tendenze e sperimentazioni del cinema africano); Concorso Extr’A (dedicato ai film di registi italiani a confronto con altre culture, con l’intento di raccontare un’Italia che si fa interprete della diversità culturale) Sezione Flash (raccoglie i film/evento del Festival, anteprime di rilievo che presentano le opere recenti di registi affermati, film acclamati dalla critica o premiati nei maggiori festival internazionali che raccontano l’attualità di Africa, Asia e America Latina); Democrazie Inquiete, viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina (una proposta di talk e opere cinematografiche dedicate all’America Latina).