Una donna, i suoi segreti, la sua forza
di Irene Merli
ELLE, di Paul Verhoeven, con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Viriginie Efira, Judith Magre, Christian Berkel, Jonas Bloquet. Premio miglior film straniero è migliore attrice ai Golden Globes 2017. Nelle sale dal 23 marzo
Un gatto nero, imperturbabile, osserva una scena di violenza su una donna, aggredita da uno sconosciuto mascherato che piomba in una bella casa borghese frantumando i vetri della porta-finestra.
L’ultimo film di Paul Verhoeven, e il primo girato in Francia, inizia così. Facendo subito capire che Michèle, fisico esile come un giunco ma carattere coriaceo, è un personaggio imprevedibile come un felino. Dopo lo stupro, infatti, prima di farsi un bagno che la ripulisca dalla sporcizia materiale e morale, riordina la sala messa sottosopra dall’aggressione, senza nemmeno togliersi le scarpe con il tacco, e ordina del sushi.
Non solo. Non chiama la polizia né parla dell’accaduto con nessuno. Fantastica di uccidere il violentatore, questo sì, e cambia la serratura. Ma va a lavorare, vede gli amici, l’ex marito, l’amante come se niente fosse accaduto.
Del resto Michèle Leblanc, in questo thriller aspro e abrasivo, è una di quelle donne che niente sembra poter turbare. Vive sola in un elegante appartamento borghese, è a capo di una grande società di videogiochi e gestisce i suoi affari come le sue relazioni affettive: con un pugno di ferro, da padrona, con autorità dettata da autorevolezza.
Fa tutto quello che non andrebbe fatto, se le va di farlo. Senza pensare alle conseguenze. Le sue scelte nei confronti di se stessa e delle persone che lo sono vicine – la fragile madre che non sa invecchiare, il figlio immaturo e dipendente, la nuora approfittatrice, l’ex marito, l’amica del cuore, i dipendenti e i colleghi – mostrano in un modo quasi vertiginoso cosa può ottenere una donna quando è consapevole di tutte le sue possibilità, intellettive e fisiche. Senza farsi frenare da scrupoli e insicurezze.
Come potrebbe un personaggio così comportarsi da vittima? Certo, cercherà di scoprire chi l’ha aggredita, ma una volta smascherato il violentatore, tra i due si stabilirà un gioco di dominazione ad alto rischio.
Non per nulla nel passato di Michèle c’è un segreto terribile, che le tornerà addosso all’improvviso e giocherà un ruolo importante nella strana e violenta relazione.
Il film, orchestrato da Verhoeven alternando momenti di commedia, di dramma, di grottesco, di noir, tutti legati da un’incalzante atmosfera di suspence, sembra articolarsi sull’identità dello stupratore.
In realtà scena dopo scena lo spettatore scopre che il vero mistero è Elle, Michèle, la sua personalità indecifrabile che sorprende e sconvolge. Questa donna è ambigua in ogni momento della storia, lucida, ironica, cinica, inflessibile e perversa.
Una vera guerriera amorale, come altre eroine portate sugli schermi dal regista olandese prestato all’America, che ama interrogare le zone d’ombra dell’animo umano e della sessualità, smascherando le grandi e piccole perversioni nascoste nel perbenismo borghese.
E in un cast che funziona alla perfezione, svetta imponente dall’inizio alla fine l’interpretazione di Isabelle Huppert. Nota per non tirarsi indietro davanti a nulla, sui set cinematografici, la più grande attrice francese in questo film supera anche se stessa, regalando al suo regista e a noi un personaggio imperturbabile e incandescente, davvero indimenticabile.
Verhoeven l’ha candidamente ammesso: nessuna americana avrebbe mai accettato il ruolo recitato dalla Huppert. Così come l’Academy non ha accettato di candidare Elle agli Oscar, neppure dopo la vittoria ai Golden Globes. Troppa ambiguità, feroce ironia, sofisticata violenza… Cose da Vecchio Continente, specie in era Trump.