Negli ultimi giorni i media nazionali si sono occupati della vicenda TAP in Salento. Un’opera lunga 3.500 chilometri, considerata strategica dall’Italia e dall’Europa. Al momento è ferma a causa degli ulivi
di Andrea Colasuonno, tratto da Odysseo
Parte dal Mar Caspio il gasdotto Transadriatico, e attraversando diversi paesi, dovrebbe approdare in Italia sul litorale di San Foca, nel comune di Melendugno, in provincia di Lecce. Tuttavia mentre in Grecia e in Albania i lavori procedono spediti, in Italia si sono bloccati.
Ciò è successo in conseguenza delle proteste dei “No Tap”. Si chiamano così coloro che si stanno opponendo alla realizzazione dell’opera, la quale prevede lo spostamento di 211 ulivi secolari. Secondo i contestatori l’operazione deturperebbe un’area fra le più belle della Puglia, finendo per danneggiare anche l’indotto turistico che in quella zona è vitale.
Vista così la situazione descritta sembra la classica situazione all’italiana, nel nostro paese ovunque si preveda di realizzare un’opera strategica, c’è un comitato che vi si oppone. Eppure in questo caso c’è una novità.
La novità è che l’ente Regione, in questa circostanza, si è schierato dalla parte dei contestatori.
La posizione è stata presa espressamente dal presidente Michele Emiliano, il quale ha ribadito che la volontà di fare approdare il gasdotto in quella zona, è tutta nazionale. Lui e la sua maggioranza vorrebbero cercare altre soluzioni. A ribadire la cosa, anche una mozione votata in Consiglio Regionale il 21 marzo.
La situazione venutasi a creare può sembrare strana, ma non agli occhi di un pugliese, se si tiene conto che ci sono di mezzo gli ulivi. Il rapporto dei pugliesi con gli ulivi è qualcosa di ancestrale, difficile da spiegare a parole. L’idea di strappare 200 ulivi dal proprio suolo, anche solo con la promessa di spostarli e ripiantarli, per un pugliese è irricevibile.
Mi è capitato di parlare della questione con un amico di Milano, durante la chiacchiera ho inteso che per uno che pugliese non è, la cosa è un po’ meno comprensibile. Mi ha fatto notare che nel 2006 nel capoluogo lombardo successe qualcosa di simile. Fu raso al suolo il Bosco di Gioia per costruire un nuovo quartiere.
Anche lì si abbatterono (non spostarono) circa 200 alberi considerati “monumentali”. Ci fu qualche protesta, una petizione, ma le istituzioni furono tutte d’accordo e la cosa si fece. Il mio amico di Milano non si spiega allora come sia stato possibile che cittadini, comuni interessati e Regione Puglia, di fronte ad un’opera strategica nazionale, si siano ritrovati insieme schierati a difesa degli ulivi. Così mi è toccato spiegarglielo.
Per rendere l’idea di cosa siano gli alberi di ulivo per i pugliesi c’è una storia raccontata in “Terroni” di Pino di Aprile, che al di là del giudizio generale sul libro, resta molto efficace.
Aprile chiama gli ulivi secolari e millenari “i Patriarchi”, dedica loro un capitolo intero del suo libro. Parla di questi alberi con un esperto del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia. Il ricercatore gli spiega che “l’ulivo è una pianta domestica: può vivere così a lungo, svilupparsi, dividersi, derivare, rinascere da un pollone e ricominciare, solo se, per tutto il tempo, l’uomo la cura”.
“L’ulivo”, spiega il ricercatore, vive solo se l’uomo “pota i rami bastardi e alleggerisce la pianta; le tiene, zappando, sgombro il terreno intorno da essenze infestanti e più aggressive; la libera dal legno morto. Quando ciò non avviene, l’ulivo inselvatichisce, decade e diviene sterile in pochi anni”.
Ecco che, nota Aprile, almeno da 3000 anni a questa parte l’uomo e l’ulivo hanno instaurato un patto. “Il patto era: io ti darò olive per accompagnare il pane, olio per la cucina e la lucerna, legna per il focolare; tu mi darai acqua se piove poco, farai respirare con la zappa le mie radici, toglierai il legno sterile dalle mie spalle”.
Gli ulivi del Salento di cui stiamo parlando –che nonostante siano dei monumenti, non sono neanche i più longevi che abbiamo nel Sud Italia – sono ulivi quantomeno secolari. Questo vuol dire che per 300, 500, 800 anni, per decine di generazioni, qualcuno si è sempre occupato di loro. Vuol dire che qualunque cosa sia successa in quella zona nei secoli dei secoli – guerre, dominazioni, cambiamenti climatici, nuove lingue parlate, nuove divinità adorate – c’è stato sempre almeno un uomo che per loro ha continuato a fare 3 cose: potare i rami, zappare le radici, togliere il legno morto.
La prova è che quegli ulivi sono ancora lì, non fosse stato così – come ha spiegato il ricercatore – sarebbero morti nel volgere di qualche anno. La cosa, personalmente, mi dà le vertigini. Il rapporto di cui stiamo parlando non è semplicemente quello di un uomo che si è affezionato ad un albero, va bel al di là dell’affezione che può darsi in una vita. Il rapporto di cui parliamo è quello fra un modo di essere uomini e un modo di essere alberi, che hanno combaciato perfettamente. In questi termini va pensato.
Se si tiene conto di tutto ciò, forse risulta più chiaro il motivo di tanta reverenza da parte dei pugliesi nel trattare qualsiasi cosa riguardi questi alberi. E risulta comprensibile anche l’atteggiamento cauto dimostrato dalle istituzioni locali a riguardo. Alla base agisce un sentimento popolare, di cui per fortuna, e per ora, le istituzioni si sono fatte interpreti. La domanda vera alla fine non è se sia giusto o meno spostare alberi per far passare un gasdotto, la domanda vera è “te la senti tu di spodestare un Patriarca?”. Anche il mio amico di Milano, quando gliel’ho messa così, mi ha risposto “beh, in effetti…”.